Due pugili

Immaginate di leggere sul giornale, a distanza di tempo, due articoli: nel primo, in prima pagina, si racconta dei pugni tirati da un tizio a un altro, e nel secondo, un trafiletto, di quelli sferrati da un tale a qualcun altro. Se mai assocerete i due fatti, penserete a due episodi di violenza distinti. La notizia è in realtà una sola: “Si è tenuto un match di pugilato”!

È l’esempio proposto da Oded Even in un commento apparso su Haaretz per discutere dell’effetto che ha la copertura mediatica israeliana sulla percezione del pubblico delle schermaglie con Gaza.  Leggi tutto “Due pugili”

Cemento a Gaza

Sono passati tre mesi dalla fine dell’ultima offensiva su Gaza, ma Sadeeqa, sessant’anni, vive ancora nel rudere bombardato che era casa sua insieme ad altre 34 persone. Il riparo di fortuna è ricoperto alla bell’e meglio con teli di plastica per cercare di arginare il freddo, mentre l’elettricità vi arriva con un cavo che si collega a un edificio vicino.

La verità è che nelle zone colpite non c’è abbastanza cemento per ricostruire le case, servono bulldozer per spianare le macerie e manca quasi del tutto l’acqua potabile. Ne ha parlato Haaretz. Leggi tutto “Cemento a Gaza”

Boicottaggi

In pieno agosto, quando l’opinione pubblica globale si diceva scioccata dei bombardamenti israeliani su Gaza, proliferavano le iniziative di boicottaggio per “colpire Israele”. Nulla che abbia sortito effetti degni di nota; oggi, però, c’è un altro boicottaggio che sta provocando seri problemi a Gerusalemme: quello alla Russia. Ne ha scritto Ora Cohen su Haaretz del 18 settembre. Leggi tutto “Boicottaggi”

Guerra? Quale guerra?

“C’è stato un periodo, quest’estate, tra la gravidanza della cantante del momento e il suo matrimonio, in cui c’è stata una guerra. È finita, ed è già stata dimenticata”. Comincia così l’editoriale di Gideon Levy pubblicato su Haaretz il 18 settembre. Leggi tutto “Guerra? Quale guerra?”

L’appello dei riservisti israeliani

Pubblichiamo la traduzione integrale dell’appello* sottoscritto da cinquanta riservisti israeliani che si rifiutano di servire l’esercito.

Siamo stati soldati all’interno dell’esercito israeliano e abbiamo servito in una grande varietà di unità e posizioni, cosa di cui adesso ci pentiamo. Durante il nostro servizio, infatti, abbiamo scoperto che non sono solamente le truppe che operano nei territori occupati a perpetrare il meccanismo che controlla le vite dei palestinesi, in verità è l’intero esercito a essere coinvolto. È per questo che ci rifiutiamo ora di partecipare come riservisti al conflitto e sosteniamo tutti coloro che rifiutano di servire in questa istituzione.

L’esercito israeliano è una parte fondamentale della vita di ogni israeliano ed è anche la potenza che domina sui palestinesi che vivono nei territori che sono stati occupati nel 1967. Da quando l’esercito esiste nella sua forma attuale, il suo linguaggio e la sua mentalità ci controllano: il bene e il male sono individuati attraverso le sue categorie, ed è questa istituzione l’autorità che decide chi vale più e chi meno all’interno della società; chi è più responsabile per l’occupazione, chi è autorizzato a esprimere la propria opposizione alle forze armate e chi non lo è e in che modo sono autorizzati a farlo. L’esercito ha un ruolo centrale in ogni azione, piano o proposta che venga discussa a livello nazionale, e questo spiega perché non ci sia alcuna vera proposta per risolvere in maniera non militare il conflitto nel quale Israele e i suoi vicini sono rimasti incastrati. Leggi tutto “L’appello dei riservisti israeliani”

I riservisti che non ci stanno

In un appello pubblicato sul Washington Post, la giornalista israeliana Yael Even Or descrive i motivi dei riservisti che si oppongono al richiamo in servizio per l’operazione in corso a Gaza, dando anche uno spaccato delle politiche discriminatorie che sarebbero diffuse in tutta la Israeli Defense Force. Leggi tutto “I riservisti che non ci stanno”

E’ morto Eyad El Sarraj

E’ morto Eyad El Sarraj, psichiatra palestinese, era nato a Beer Sheva nel 1944. Nel 1948, lui e la sua famiglia erano stati costretti ad andarsene e si erano trasferiti a Gaza. Aveva studiato in Egitto e si era laureato a Londra. Da sempre impegnato per la tutela dei diritti umani, è stato il fondatore e presidente del Gaza Community Mental Health Programme. Nel 1996 è stato incarcerato per aver denunciato e condannato la tortura e le violazioni ai diritti umani commessi dall’Autorità Palestinese.Il suo impegno primario era teso alla riabilitazione della popolazione palestinese, con particolare attenzione ai bambini e adolescenti traumatizzati, e ai loro modelli educativi. L’avevamo intervistato nel 2003, quando ci aveva raccontato, tra l’altro, che il 55% dei bambini palestinesi aveva assistito al pestaggio del padre e che il il 24% sognava di diventare un martire. E poi ancora nel 2009 all’indomani del ritiro dell’esercito israeliano da Gaza.