C’è una cosa particolarmente nauseante nella brutalità americana. Non solo perché essa si accompagna a un discorso tanto ambiguo su democrazia, libertà e pace, ma perché è così scoperta, così grossolana, in un certo senso così fine a se stessa, uno sport, un affare tecnico. Potere Potere Potere. Ma non sospettano che il potere può essere speso molto più rapidamente dei soldi?
Con questa citazione di Nicola Chiaromonte, tratta da un articolo contro la guerra del Vietnam, Gregory Sumner a proposito dell’avventura “preventiva” irakena, nel numero del marzo 2003 di Una città, metteva in guardia dal pericolo di un “pantano vietnamita”. Leggi tutto “Un nuovo internazionalismo”
Categoria: gli editoriali
I due martiri
“Gli islamisti, in Algeria, minacciano la sicurezza nel Mondo. L’Occidente, che crede di detenere in questo flagello un mezzo di pressione su certi paesi, si sbaglia di grosso: sta preparando la sua propria caduta. L’esempio dell’Iran si espanderà a macchia d’olio e saranno centinaia di milioni di bombe umane che l’islam politico getterà nella battaglia ‘contro l’Occidente satanico’, secondo la fraseologia consacrata. Col voler manipolare troppo l’islam politico, l’Occidente creerà le opportunità della propria eventuale scomparsa. La Cia crede di sapere tutto mentre si fa abbindolare da dei pazzi col turbante: i mollahs, vampiri assetati di sangue. Carissimo Boualem, mi piacerebbe proprio venire in Italia, non per viverci, ma per fare delle conferenze sui pericoli dell’islamismo. Il nostro paese ha pagato per la stabilità degli altri e nessuno vuole riconoscere questo. Un diplomatico americano ha anche ostentato disdegno a proposito del pericolo planetario che rappresenta l’islamismo, questa nebulosa antropofaga. Roma aveva il suo splendore e la sua grandezza, cosa rimane? E allo stesso modo cosa rimane di Cartagine? O anche della Berlino del nazismo? Se la New York della Democrazia vuole conoscere la stessa sorte, deve solo continuare a flirtare con l’islam politico. Cari saluti a te e a tua moglie. Chourar Saïd. Guendouze, 4 marzo 1998”. (Una città, n. 67, 1998) Leggi tutto “I due martiri”
Siamo interventisti
Questa redazione è interventista (non dalla prima ora, purtroppo: quando nel lontano ’91, dopo averla martirizzata coi bombardamenti, le truppe di Milosevic facevano entrare a Vukovar le squadracce fasciste per il “lavoro a mano”, qui ci si attardava a discettare di “Germania e Vaticano”). Leggi tutto “Siamo interventisti”
Honoris causa ai patrioti algerini
I nostri abbonati sanno che non usiamo fare polemiche ad personam. Questa sarà l’eccezione che conferma una regola. Leggi tutto “Honoris causa ai patrioti algerini”
Alex e Grazia
Quando ci siamo incontrati, a luglio, Grazia Cherchi era affranta per la morte di Alex Langer. Non solo per Alex, non solo perché, come ha scritto, lo considerava insostituibile, ma anche perché in quella morte vedeva un segnale terribile per il nostro futuro e per il destino di una generazione. Cosa, quest’ultima, su cui noi, assolutamente, non eravamo, non volevamo essere d’accordo. Poi, però, parlando del giornale fu lei a voler infondere ottimismo, consigliandoci di farlo meno cupo, di parlare anche delle cose positive, di chi riesce a fare qualcosa di buono. E rise quando le chiedemmo se ce lo avrebbe procurato lei un elenco. Ora sappiamo che da tempo stava combattendo, da par suo, la battaglia che non si vince e che a luglio i suoi giorni erano già contati. Malgrado tutto, ora accettiamo, vogliamo accettare, quel consiglio. Leggi tutto “Alex e Grazia”
Ypres, Coventry, Dresda, Hiroshima…
Ypres, Coventry, Dresda, Hiroshima. Nomi di città che hanno segnato il secolo e di cui, mai, sul suo finire, avremmo immaginato di dover riascoltare l’eco. Insieme a quello di nomi tedeschi di gas.
Abbiamo intravisto qualche volto. Quello attonito e fisso di un bambino irakeno coricato sul fianco non ustionato e quello di un bimbo ebreo nascosto dalla maschera antigas. E poi volti di padri irakeni scossi da un pianto infantile. E abbiamo intravisto di sfuggita il volto di un’anziana signora israeliana, invalida, portata a braccio giù per le scale. Di nuovo a dover scendere delle scale in tutta fretta. E sotto una tenda in un deserto guardando la finale del superbowl, la risata di un ragazzo nero americano che domani dovrà essere molto crudele e forse non tornerà a casa. Ed infine abbiamo visto i corpi senza più volto di inermi rifugiati, stanati dall’implacabile errore di un missile intelligente. Tutto questo seduti nelle nostre comode poltrone. E non sappiamo cosa pensare. Non sappiamo cosa fare.
Non applaudiamo, questo è certo. Quelli che ci incitano quotidianamente a farlo non ci piacciono. Ce li immaginiamo bene ad eccitarsi, a bere e slacciarsi cravatta e camicia e ad incattivirsi se il nemico non è anche un codardo. Se fossero al bar, un pakistano farebbe meglio a girare al largo. In tanto tifo sospettiamo l’odioso zelo dell’imboscato.
Purtuttavia anche noi, come loro, siamo seduti in poltrona. Convinti, con tutte le ragioni che l’occidente può avere, di essere al fondo colpevoli. E se trionferemo alla fine sul piccolo “regno del male” di turno cosa accadrà poi? Ci sarà una casa per i palestinesi? Potranno vivere in pace gli ebrei? Ci sarà più comprensione fra nord e sud? Lo dubitiamo. I dati certi per ora sono che calerà il prezzo della benzina e andranno su le borse. Il resto?