La scorsa settimana, in Iran, le file fuori dei seggi erano talmente lunghe che la commissione elettorale ha dovuto posticipare la chiusura ben cinque volte. I religiosi hanno gettato fango sui candidati, ma non potevano permettersi di gettare fango sulla gente. Muhammad Zarif, il ministro degli esteri che ha negoziato l’accordo sul nucleare, è stato applaudito. Muhammad Khatami, che nonostante sia sparito dai media resta la figura più popolare, è stato accolto ai seggi come un eroe.
Nella capitale la “Lista della Speranza” ha ottenuto la maggioranza assoluta. E dei trenta deputati eletti otto sono donne. Non c’è da farsi troppe illusioni: la lista “riformista” è tale fino a un certo punto. Alcuni elettori hanno fatto notare che alcuni candidati erano presenti anche nella lista degli estremisti, ma tant’è, per il momento bisogna accontentarsi.
E comunque il messaggio è arrivato: la gente vuole interagire con il resto del mondo non fargli guerra. Per ora l’establishment conservatore è ben più potente del presidente; la Guida Suprema può porre il veto alle sue decisioni. L’isolamento di questi anni ha creato lo spazio ideale per i soprusi delle Guardie rivoluzionarie, ma qualcosa sta cambiando se è vero che la cosiddetta “polizia della moralità” ha ridotto le sue visite nelle case e negli uffici. Insomma, conclude l’Economist, la volontà degli elettori conta molto meno di quanto dovrebbe in Iran, ma qualcosa conta!
(economist.com)