La ricetta contro l’Isis? Lavoro, lavoro, lavoro!

James Stavridis, ammiraglio statunitense, già comandante delle forze Nato, nell’ultimo numero di Foreign Policy spiega qual è la sua ricetta: contro un nemico che crede nella tortura, nelle sevizie, nella schiavitù sessuale, va senza dubbio rafforzato un intervento militare, fatto di intelligence, ma non basta. Ciò che davvero può fare la differenza è il cosiddetto “soft power”, che significa convincere la gente senza costringerla. Come si fa? Stavridis ha le idee chiare: ci vuole lavoro lavoro e lavoro (“jobs jobs jobs”). Una sorta di Piano Marshall. Ovviamente non sarà il lavoro a risolvere tutto, però la prospettiva di un impiego stabile, di una famiglia sana, di una comunità semplicemente “normale” potrebbe allontanare più di qualcuno dalla scelta radicale violenta.
Quanto costa tutto questo? Un sacco di soldi. Per creare lavoro, offrire istruzione, sanità e infrastrutture ci vogliono 200 miliardi all’anno. Se però si pensa che nella coalizione ci sono più di 60 paesi non è un obiettivo così irraggiungibile. (Tanto meno se si considera -e Stavridis lo considera- che durante la guerra in Iraq e Afghanistan gli Stati Uniti spendevano quasi un miliardo al giorno).

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