L’industria africana

In genere i paesi si deindustrializzano quando diventano più ricchi (e prendono il sopravvento i settori terziario, dei servizi, ecc.). Purtroppo in Africa sta succedendo qualcosa di diverso e piuttosto preoccupante: si sta deindustrializzando mentre è ancora molto povera.
I grandi stabilimenti tessili della Nigeria, un tempo il cuore industriale del paese, oggi sono vuoti. Il collasso dell’industria tessile, che è passata da 350.000 addetti a meno di un decimo, è legato al rallentamento dell’economia cinese e all’automazione dei processi industriali che rendono meno necessario il lavoro non qualificato. Come non bastasse, l’Africa oggi soffre anche del “male olandese”, un concetto economico che mette in relazione la ricchezza di risorse naturali e il declino del settore manifatturiero. L’Africa sconta anche il fatto di non aver potuto beneficiare del modello di sviluppo cosiddetto delle “oche volanti”: non ha mai avuto infatti la sua “oca leader”, come è stato il Giappone per l’Asia.
Per fortuna il quadro non è proprio tutto nero: Etiopia, Tanzania e Ruanda vedono tassi di crescita in controtendenza e i loro modelli vengono studiati. Ma evidentemente non basta. L’Africa oggi genera solo il 2% della domanda mondiale. Milioni di giovani restano fuori dai settori produttivi. I governi devono iniziare a fare la loro parte, fornendo infrastrutture e incentivi, e devono farlo in fretta, altrimenti l’Africa rischia di perdere anche l’ultimo treno.
(economist.com)

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