Greame Wood, giornalista canadese, voleva riprendere i contatti con Phineas Upham, ex compagno di università, e così è andato a cercarlo su Google. Sorpresa: Phineas aveva avuto guai con la giustizia per aver celato al fisco Usa 11 milioni di dollari. Volendo seguire gli sviluppi, Greame ha attivato un “Google alert” per ricevere in automatico notizie collegate a quel nome. Appena qualche mese dopo, il curioso Greame ha cominciato a ricevere strane notifiche: “Upham messo a capo della sezione finanziara dell’ente Tal dei Tali”, “Upham nominato filantropo del mese dalla rivista Tal Altra”, e altre simili. Con link a siti, per la verità, poco credibili. Cos’era successo? Phineas aveva assunto un reputation manager. Tempo fa ne ha parlato lo stesso Wood sul New York Magazine, storia ripresa di recente dal podcast Reply All. Cosa fa un reputation manager? Non potendo sempre eliminare direttamente i risultati “ingiuriosi” invocando il “diritto all’oblio“, il servizio si prodiga per creare nuove pagine che scalino i risultati delle ricerche, facendo scivolare in basso i risultati più imbarazzanti. Il trucco funziona perché, secondo uno studio del 2013, il 33% di chi cerca su Google apre solo il primo link, e meno dell’1% arriva a consultare anche la seconda pagina dei risultati. Il sito principale che offre questo tipo di servizio è Reputation.com, che ha scelto di non mentire, né di “coprire” le storie di autori di crimini violenti, abusi sessuali, o frodi. Per questi ultimi ci sono altre società, con meno scrupoli.