“Le donne sono trattate come oggetti, non possono uscire di casa se non accompagnate da un parente maschio. I pagani, come gli yazidi, sono comprati e venduti come schiavi. Le punizioni, come decapitazioni, amputazioni e fustigazioni sono la norma”. Così comincia il reportage di Patrick Cockburn, giornalista di “Independent” sull’Isis. Un’indagine fatta intervistando chi è vissuto sotto il regime dello Stato Islamico con l’obiettivo di capire lo stato d’animo delle persone. Cosa vuol dire, ad esempio, vivere in un luogo in cui a una donna che gira per strada senza il niqab verrà intimato di chiamare il marito a cui verranno inflitte 40 frustate? E poi come si comportano i foreign fighters? E infine, più prosaicamente, cosa mangia la popolazione? Come vive? La più significativa forse è la testimonianza di Abbas (Abu Mohammed), originario delle roccaforte sunnita di Falluja. Abbas, 53 anni, di una famiglia sunnita tradizionale, all’inizio non aveva motivo di lamentarsi, anzi aveva accolto con entusiasmo la “Conquista islamica”; poi però sono arrivati i problemi con elettricità, i telefoni, il divieto di fumare, di tagliarsi i capelli all’occidentale, oltre ovviamente a una stretta nei costumi religiosi, per cui gli imam locali erano stati sostituiti da altri arrivati dall’Arabia. Ma ciò che l’ha fatto scappare sono stati due episodi che riguardavano i suoi figli. Intanto è stata introdotta la coscrizione obbligatoria, con l’obbligo di mandare almeno un figlio a combattere con l’Isis e poi è arrivata la pretesa, da parte di un foreign fighter, di prendere la mano di sua figlia (e di molestare le sue ragazze). A quel punto ogni illusione è venuta meno. Oggi Abbas vive in Kurdistan con la famiglia.
(independent.co.uk)