È dedicata alle “persone con esperienza” che, da nord a sud, con l’aiuto di psichiatri illuminati, ma anche di infermieri e familiari, nonostante qualche ricaduta e pur dovendo talora continuare a prendere farmaci, oggi possono condurre una vita “normale”.
In questi anni di crisi si è tornati a guardare con interesse al modello formativo tedesco. Giorgio Allulli ci spiega in dettaglio cosa significa per i tedeschi educare attraverso il lavoro e per il lavoro, addentrandosi nelle caratteristiche del cosiddetto sistema duale fondato sul contratto di apprendistato, che non è un vero contratto di lavoro e nemmeno una formula per agevolare l’occupazione; si tratta invece di un contratto formativo che interessa il 50% dei giovani tedeschi che passano il 70% del tempo in azienda e il 30% a scuola; una qualifica, quella di apprendista, molto prestigiosa, senza la quale alcuni impieghi restano inaccessibili; Allulli ci parla di una cultura dove il lavoro manuale non è considerato una scelta di serie B come ci racconta invece, sempre in questo numero, Claudio Daniele costretto a lottare quotidianamente per ribaltare questo immaginario e ridare fiducia ai suoi ragazzini dei corsi di formazione professionale. Anche dopo il diploma, oltre la metà dei giovani tedeschi non va all’università, ma frequenta corsi di istruzione superiore, come le Fachhochschulen, delle sorte di università di “scienze applicate” che forniscono ugualmente il titolo di laurea, ma dove i professori, oltre ai requisiti accademici, devono poter vantare almeno cinque anni di esperienza professionale. (…)
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http://www.unacitta.it/newsite/sommari.asp?anno=2015&numero=219