I corpi sono stati portati via dall’aula, il sangue e il vomito ripuliti accuratamente. Ora Tete Johnson deve decidere se far tornare il figlio in una scuola che era stata trasformata in un centro per i malati di ebola.
Così comincia un articolo di Kevin Sieff sul “Washington Post” sul difficile ritorno alla vita normale a Monrovia, in Liberia dove sono morte 3600 persone. La vita quotidiana sta riprendendo faticosamente. Le scuole dovevano riaprire ai primi di febbraio, ma le resistenze dei genitori hanno fatto rimandare l’inizio di due settimane. Il preside della “Ebola school” (peraltro l’unica scuola pubblica di un’area disagiata) sa che lo aspetta un’impresa non facile. Anche se gli esperti dicono che il virus non può sopravvivere per più di 21 giorni, la gente non si fida troppo. Il governo ha mandato del personale a bruciare sedie e banchi e a disisnfettare tutto, ma i genitori hanno ancora davanti l’immagine dei corpi portati fuori dalle aule dentro dei sacchi di plastica.
Intanto, nelle case, la gente deve rassegnarsi a tornare a dormire nella camera dove è morta la loro moglie o il loro marito o ancora i figli.
(washingtonpost.com)