Lettera pubblicata nel n. 218 di Una città*.
Cari amici,
a gennaio, una mattina presto, quando gli uccelli erano troppo assiderati per cantare, sono andata a un convegno aperto agli artisti, agli scrittori e ai devoti della cultura; una riunione che faceva parte di “What Next?”, l’iniziativa volontaria nazionale creata allo scopo di promuovere i valori fondamentali dell’arte, nel tentativo di frenare la reazione istintiva, in tempi di crisi, di far scendere la mannaia dei tagli sulla cultura. In passato è già accaduto, e la mannaia è pronta a calare ancora una volta.I finanziamenti del governo centrale alle autorità locali sono stati ridotti del 28% nell’arco di quattro anni (2011-2015), cosa che, per l’arte, significa tagli su tagli. Perfino il budget del Consiglio delle arti è stato considerevolmente limato. Ciò che è emerso durante il convegno, davanti a un caffè -caldo, per fortuna- e dai discorsi strategici, è cosa succederebbe se coloro che hanno votato i tagli, la gente che non vede l’arte come questione di interesse politico, fossero messi davanti a un mondo privo di qualunque forma d’arte.
Com’è ovvio, non si è trattato dell’unico scenario ipotizzato. È questa una questione che invade le arti visive e la letteratura. I romanzi che partono da simili premesse sono moltissimi! E se… la Germania nazista non fosse stata sconfitta? E se il Titanic non fosse affondato? E se gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non avessero invaso l’Iraq?
(continua)
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