Tutte le organizzazioni ideologizzate, anche le più spregevoli, utilizzano i media in maniera non dissimile dai grandi marchi occidentali. Lo Stato islamico non è da meno: il suo mensile di propaganda, nato nel luglio scorso, è “Dabiq”. Scott Beauchamp di The Baffler ne ha scritto una recensione. Giunto al numero 5 (novembre 2014), la rivista è diffusa in pdf ed è reperibile a chiunque sappia fare una ricerca su Google (attenzione, però: prima di lanciarvi in una simile impresa, sappiate che andate incontro a una sequela di foto raccapriccianti).
Secondo Beauchamp è ovvio e banale dirsi scandalizzati dei contenuti del mensile: elogi della schiavitù, foto di cadaveri, incitamenti all’odio religioso… D’altra parte, cos’altro era lecito aspettarsi dall’house organ della più sanguinaria organizzazione terroristica in circolazione? Ciò che colpisce davvero il recensore è piuttosto l’alta qualità del prodotto: reportage veri e propri, editoriali politici, foto ad alta risoluzione, servizi strappalacrime, il tutto in una veste grafica raffinata e scritto in buon inglese. Tanto perfetto da risultare noioso, non differente dalle riviste patinate istituzionali che si è costretti a sfogliare nelle sale d’aspetto o in treno, o da certi inserti dei grandi quotidiani. Dunque, scrive Beauchamp, che conclusioni possiamo trarre quando un’ideologia totalitaria si trova perfettamente a suo agio nel più diffuso dei formati della stampa occidentale? Chi ruba gli strumenti a chi?