Essere sfigati in Cina

C’è una nuova tribù in Cina: sono i “diaosi”, quei giovani che si chiamano fuori dalla competizione per il successo nel nuovo colosso dell’economia globale: vivono ancora con i genitori, sono disoccupati, passano il tempo a giocare online ma, invece di subire l’etichetta di “sfigati”, la sfoggiano con orgoglio. Ne ha parlato il Wall Street Journal. Il termine “diaosi”, che letteralmente indica il frenulo del pene, è nato come insulto per definire quei neolaureati né arte né parte che non riescono a trovare un lavoro nonostante un’economia in espansione. Oggi sono in molti a riappropriarsi del termine, così tanti che alcuni brand cominciano a bersagliarli come potenziale target e le rockstar si affibbiano il nomignolo (“Siamo Diaosi!” ha urlato durante un concerto il frontman dei Mayday, popolare band taiwanese).

Come scrive Raymond Zhou su China Daily, la storia del cambio di significato del termine ha molto in comune con il percorso compiuto dai termini derogativi rivolti ai neri e agli omosessuali in altre parti del mondo, un tempo marchi infamanti, oggi bandiere sfoggiate dagli stessi militanti. Oppure, aggiungiamo noi, pensiamo al successo di veri e propri inni generazionali dei decadenti anni 90 in Occidente: “Creep” dei Radiohead (“Sono un tipo sgradevole, sono uno strampalato”) e “Loser” di Beck (“Sono uno sfigato, baby, perché non mi uccidi?”).

“Il successo e la fama -dice Zhou- “non saranno mai alla portata di tutti, ed è normale che coloro che ne vengono esclusi provano il bisogno di legittimare il proprio status quo, recuperare una dignità”. O, semplicemente, contarsi, e scoprire, in realtà, di essere maggioranza.

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