“Se il prodotto è gratis, il prodotto sei tu”. Così recita la massima che mette in guardia dai servizi che ci vengono offerti apparentemente gratis. In realtà lo scambio avviene con i nostri dati personali: ogni volta che ci viene offerto uno sconto, un premio, o che vogliamo scaricare del software gratuito, ecc. ci troveremo a dover compilare tutta una serie di campi; in questo senso il prodotto siamo noi.
Si sa che le informazioni generate dai miliardi di dispositivi connessi sono una miniera d’oro per le imprese. Si stima che i dati degli abitanti dei 28 paesi europei nel 2020 varranno mille miliardi di euro. L’8% del Pil dell’intera Europa. L’operatore britannico Vodafone ha stimato che i dati dei loro utenti inglesi valgono potenzialmente 21 miliardi di euro.
Ma non ci sono solo i dati telefonici, ci sono le transazioni bancarie, la geolocalizzazione, il tipo di acquisti che facciamo. Google guadagna 50 miliardi di dollari all’anno monetizzando le parole digitate nel suo motore di ricerca. Il consumatore non ha ancora preso coscienza del “valore” dei dati che produce. Ma le cose potrebbero cambiare in fretta. Qualcuno, intanto, si è già mosso. Agnès Jbeily ha creato Datanoos, una piattaforma di raccolta, analisi e monetizzazione dei dati. Così gli utenti tornano “proprietari” delle informazioni che li riguardano. In pratica, con il semplice telefono, l’utente trasmette i dati riguardanti i suoi acquisti, i suoi spostamenti, ecc. e Datanoos li rivende. Al consumatore arriva qualche decina di euro al mese. D’altra parte perché non dovremmo beneficiare del valore creato dai nostri dati? Insiste la Jbeily.
(lemonde.fr)