“Cosa sente un pilota quando sgancia una bomba da una tonnellata su un’abitazione civile?”, “Mah, appena una piccola scossa all’ala del jet”. Così Dan Halutz rispondeva nel 2002, anno in cui era comandante delle forze aeree israeliane, a un giornalista che lo intervistava su un episodio che quell’anno aveva suscitato molto sdegno, in Israele: il lancio sull’abitazione di un capo di Hamas di una potentissima bomba che aveva ucciso quattordici civili, di cui otto bambini.
Lo ha ricordato Yuli Novak, che dodici anni fa serviva l’Idf come ufficiale delle forze aeree, in un contributo pubblicato sul Guardian del 28 giugno.
“Un’affermazione che a un civile suona fredda e distaccata. Ma per noi, Halutz era un’autorità morale. Lui prendeva le decisioni etiche, a noi spettava l’esecuzione tecnica”. Come tanti coetanei, la Novak si era ritrovata appena ventenne a dover convivere col fardello di immensa responsabilità morali. Come non provare un senso di colpa per quella carneficina? L’Idf aveva provato a difendere la legittimità dell’operazione, ma l’opinione pubblica aveva reagito con orrore all’assassinio deliberato di piccoli innocenti. Infine l’Idf si era anche scusata, riconoscendo l’errore. “Ero assolutamente convinta che l’esercito avesse un fondamento morale, e che quello fosse stato un incidente isolato”. Oggi che l’eccezione e l’errore sono diventati la norma, prosegue Novak, è sparita l’indignazione.
La deriva delle cose, che secondo l’ex soldato Idf erano cambiate già durante Piombo Fuso, hanno infatti raggiunto il loro culmine con l’operazione Scudo Difensivo ora in corso. “In quest’ultima operazione abbiamo già sganciato cento bombe da una tonnellata sulle case di Gaza, ma adesso nessuno, nell’esercito, sente più il bisogno di chiedere scusa”. Forse perché nessuno protesta. “Se quando cancelliamo intere famiglie in un secondo l’opinione pubblica israeliana rimane indifferente, significa che è consenziente. Le nostre riserve morali si stanno riducendo sempre più. Quanto ne rimarrà fra dieci anni?”.