Belona Greenwood, da Norwich, Inghilterra, ci parla di Eunuco Femmina, uscito ormai 45 anni fa, e della misoginia che non passa.
Cari amici,
ricordo perfettamente il giorno che presi in mano Eunuco Femmina di Germaine Greer. Avevo 17 anni ed ero all’ultimo biennio di un liceo classico femminile; uno di quei posti con un’architettura molto dritta e concreta, nella pietra come nelle aspettative. Eravamo ragazze le cui aspirazioni andavano ben oltre il matrimonio. Io ero più interessata a farmi scarrozzare in moto e passare interi pomeriggi rannicchiata in un antro di musica -un mix ossessivo di Bob Dylan e David Bowie- che a preoccuparmi del futuro. La musica ci dava un senso di protezione, identità e potere; la vita aveva il sapore del successo e i nostri alberi erano sempreverdi e i nostri giardini sempre pieni di speranza. La mobilità sociale era un rito di passaggio per i più brillanti. Lessi quel libro e fu come mangiare una mela dell’Albero della Conoscenza; d’un tratto ero stata sbalzata fuori dall’Eden e catapultata nelle politiche sociali e nel femminismo. Cominciavano gli anni 80, un decennio di protesta. Chi l’avrebbe detto? Anni dopo l’esperienza dei “campi per la pace” a Greenham Common, i fervidi dibattiti tenuti nel seminterrato del Silver Moon Bookshop a Charing Cross Road il venerdì sera, le marce del Reclaim The Night, tutta la fatica, le acrobazie per gestire due lavori, tutto il nostro impegno, l’Onu avrebbe concluso che la cultura sessista della Gran Bretagna è più “pervasiva” e più “sfrontata” che in qualsiasi altro paese. Eunuco Femmina fu pubblicato 45 anni fa. È deprimente pensare che Germaine Greer, in un documentario della Bbc dove le veniva chiesto se è in corso una nuova lotta tra sessi, abbia concluso che la liberazione non è mai avvenuta e che c’è un forte bisogno di femminismo, visto che oggi la situazione è più grave di allora. Ahimé, bisogna riconoscere che nell’odio verso le donne non c’è nulla di nuovo, anche se cresce la consapevolezza della necessità di ostacolarne la ripresa. È un disprezzo che è andato intensificandosi anno dopo anno attraverso scaramucce, cariche di cavalleria e stoccate occasionali.
Continua a leggere dal n. 212
http://unacitta.it/newsite/articolo.asp?id=941