La storia di Detroit degli ultimi decenni è costellata di segni “meno”. La popolazione è calata dagli 1,8 milioni degli anni 50 ai poco più di 700mila attuali, e ancora peggio è andata alle attività commerciali: secondo la non profit Citizens Research Council, tra il 1972 e il 2007 ne è sparito il 78%. Tanto che oggi la città del Michigan è, tra quelle con popolazione compresa tra 600 e 900mila abitanti, al penultimo posto per numero di fast food appartenenti a catene famose. Una cosa che invece è cresciuta nel tempo è una catena autoctona di fast food, la Coney Island, specializzata in hot dog. Ne ha parlato Chris Christoff su Bloomberg.com.
Oggi, all’apice della crisi, Coney Island è di sicuro la catena di maggior successo di tutta Detroit, dove ha 150 punti vendita, un numero pari alla somma di tutti i ristoranti delle altre compagnie e negli ultimi mesi è stato aperto un American Coney Island anche in un hotel di Las Vegas. Joe Grimm, giornalista, ha scritto un libro sulla storia della piccola catena, “Coney Detroit”. Il primo Coney Island di Detroit, il Lafayette, venne aperto negli anni 20 del 900 da William Keros, immigrato greco. Poco dopo il fratello avrebbe inaugurato l’American Coney Island, proprio a fianco del Lafayette. Entrambi i ristoranti sono ormai delle attrazioni cittadine: al Lafayette passano 30 secondi tra un’ordinazione e la consegna, e i camerieri non scrivono gli ordini, ma li tengono a mente per poi gridarli ai cuochi. Nelle pareti di entrambi i ristoranti spiccano decine di foto di celebrità con autografo, incluso il vice-presidente Biden.
La maggior parte dei Coney Island è oggi gestita da albanesi. “Vengono da noi perché siamo più economici di McDonald e Burger King”, dice Mario Gjolaj, gestore di un Coney Island a Corktown, il quartiere degli immigrati irlandesi arrivati negli anni Quaranta dell’Ottocento. I Coney non temono lo scontro diretto con i giganti dei fast food. Nick Musollaj, che gestisce l’Hollywood Coney Island nell’East Side, ne è convinto: “Se apre un McDonald nel quartiere ci fa piacere. Loro fanno tutto il marketing e portano la gente, che poi viene da noi’”. Lo conferma la storia di Lonnie Domgjoni, che gestisce il George’s Coney Island, già rilevato dal padre nel 1982 e ancora aperto nonostante stia proprio di fronte a un Burger King e a un Kentucky fried chicken: un Coney dog costa 1.80$ e una porzione di patatine 1.40$; al Burger King per un panino si spendono 3.49$ e 2.09$ per le patatine.
La catena, in cui ogni ristorante ha i propri piatti forti, è entrata nel cuore dei cittadini. Secondo Willie Davis, che gestisce il Detroit Corned Beef and Coney Island: “Appena tornano in città, molti vogliono mangiare nel proprio Coney Island. Li fa sentire a casa”. Ogni Coney Island, infatti, è unico: “Uno non vale l’altro! Alcuni sono tremendi…” dice Dentae Butler, ventiquattrenne che si fa 16 chilometri al giorno pur di far colazione all’Ed’s Apollo Coney Island, che sta in un quartiere del West Side pieno di case e negozi abbandonati. “Non trovo altrove un’omelette migliore”.
Gjuna Merditah, signora albanese la cui famiglia possiede l’A-Eagle Coney Island dal 1988, racconta: “Negli anni ho visto i figli dei miei clienti storici diventare clienti essi stessi”. Intanto, Gjuna aspetta che il suo, che ha vent’anni, raccolga il testimone. “Abbiamo intenzione di restare qui ancora molto a lungo”.