Il Pisa, “Programme for International Student Assessment” è un programma internazionale di valutazione degli studenti quindicenni, un’indagine svolta nei Paesi Ocse (più altri che aderiscono volontariamente, per un totale di 65 nazioni) nata nel 2000. Lo scorso 2 dicembre ha diffuso i dati scaturiti dalla rilevazione dello scorso 2012, che ha coinvolto 500.000 studenti in tutto il mondo.
La prima tentazione? Comparare Paese con Paese, Finlandia con Messico, Italia con Corea, Giappone con Estonia… Errore gravissimo, scrive Pasi Sahlberg sul blog del Guardian l’8 dicembre 2013. Secondo Sahlberg (da noi intervistato sul sistema scolastico finlandese) l’analisi quantitativa dei dati rende ciechi: quest’anno la Finlandia si straccia le vesti per essere scesa dal sesto al dodicesimo posto in matematica; anche la Svezia è scesa, e a Stoccolma si grida al “disastro nazionale”… Insomma, si guarda alla classifica: “Siamo sopra o sotto la media Ocse?”; “Quanto siamo lontani dal podio?” (chi fosse interessato può trovare qui un grafico molto eloquente).
Un uso migliore dei dati, secondo Sahlberg, richiede un’analisi dei trend globali e dei rendimenti dell’unica cosa comparabile, in Paesi tanto differenti: l’impatto sul rendimento scolastico di un’istruzione fondata sulle logiche di mercato. È il GERM, il Global Educational Reform Movement, il principale imputato dei critici del PISA. Scaturito dalla riforma scolastica britannica del 1988, è diventato un vero e proprio “virus” che ha infettato le scuole di tutto il mondo: al fine di fornire risultati confrontabili, anche i metodi di insegnamento, di apprendimento e rilevamento delle competenze hanno finito per uniformarsi.
Le migliori performance, e un minor numero di “brutti risultati”, si rilevano là dove le scuole lasciano autonomi gli studenti nella definizione del percorso di studi e privilegiano una cultura collaborativa. L’esatto contrario del GERM, che prescrive come elisir del successo scolastico standardizzazione dell’insegnamento, dell’apprendimento, dei test…