Scriviamo un messaggio alla Royal Mail perché il numero che ci è stato fornito dal rivenditore per tracciare il pacco non funziona. Il sistema avverte che entro tre giorni (“ma in molti casi rispondiamo anche prima”) saremo contattati. In effetti, avendo scritto la sera, riceviamo una risposta alle 13 del giorno successivo: le poste inglesi comunicano che a loro quel numero non risulta. Approfondiamo con il rivenditore che conferma il numero e ci invia ricevuta. Ricontattiamo la Royal Mail durante il weekend, solito messaggio automatico. Al lunedì pomeriggio arriva una mail di poche righe in cui l’operatore esordisce pregandoci di “accettare le mie più sincere scuse”, segue l’informazione richiesta e di nuovo vengono ribadite “le più sincere scuse per l’inconveniente causato”. Due righe di scuse in un messaggio di cinque righe.
Arriva una raccomandata dell’Agenzia delle Entrate. Andiamo alle poste, solita fila, ritiriamo la busta, la apriamo con la consueta apprensione che ci accompagna quando lo Stato ci scrive. A distanza di due anni pare abbiano preso in considerazione il nostro credito Irpef arretrato. Cerchiamo di capire le tabelle di somme e sottrazioni. Chiamiamo il parente commercialista che ci ha fatto la dichiarazione, scannerizziamo, mandiamo tutto. Il responso è che sì, hanno preso in esame il nostro credito, ma per contestarne una parte. Una detrazione che non ci doveva essere. Il parente commercialista però è convinto di aver ragione lui, studia la vecchia dichiarazione e va di corsa all’Agenzia delle Entrate. Perché, tra parentesi, la raccomandata arriva a fine luglio e c’è tempo 30 giorni per contestarla. Mah. All’Agenzia delle Entrate ascoltano le nostre ragioni e riconoscono che sì quella detrazione in effetti era legittima. Punto.
Ma com’è che da noi quando un pezzo dello Stato sbaglia non ci chiede mai scusa nessuno?