Nel 2008 è stato introdotto il cosiddetto “regime dei minimi”, che ha subito qualche modifica a partire dal 1 gennaio 2012. Un regime pensato, si legge, “per l’imprenditorialità giovanile”. Infatti fino a 35 anni e con un reddito inferiore ai 30.000 euro non c’è l’Iva, non si paga l’Irap, non ci sono gli studi di settore e soprattutto l’aliquota Irpef è molto bassa, il 5%. Resta l’Inps, al 27,72%. (E’ un regime che può essere adottato, con lo stesso tetto di reddito, anche da un professionista, ma solo per cinque anni e ad alcune condizioni).
In questi giorni di scadenze, in internet, nei forum dei commercialisti, ci si imbatte in diverse richieste di chiarimento a proposito di questo regime. Per esempio un fratello e una sorella, con meno di 35 anni, chiedono se i calcoli fatti dal loro commercialista siano corretti e se non sia il caso di cambiarlo visto che il maschio con 17.000 euro di ricavi si trova a dover pagare 7000 euro di tasse e la sorella con 19.000 euro di ricavi deve pagare ben 9000 euro di tasse. Si scopre così che dopo il primo anno di lavoro nel regime dei minimi, il giovane neoimprenditore di se stesso deve pagare quasi il 50% di tasse. E’ vero infatti che ci sono solo l’Inps e l’Irpef, peccato però che il primo anno, come peraltro in altri regimi, devono essere pagati praticamente due volte, perché oltre al versamento per il 2012 c’è l’acconto 2013. Acconto per modo di dire, perché per l’Inps si anticipa l’80% e per l’Irpef il 98%. Un curioso modo di incoraggiare chi inizia una nuova attività. Uno dei professionisti interpellati da fratello e sorella infatti spiega lapidario: “Il calcolo è corretto. Più che commercialista sarebbe da cambiare paese”.