E’ dal diciannovesimo secolo che si studia la correlazione tra disoccupazione e suicidi. David Stuckler, sociologo, e Sanjay Basu, epidemiologo, autori di una ricerca sulla questione, hanno pubblicato sull’ “International Herald Tribune” un articolo in cui spiegano che più della crisi economica sono le politiche fiscali a incidere sulla vita (e sulla morte) delle persone. Lo spunto è proprio il triplice suicidio avvenuto a Civitanova Marche lo scorso mese. La tesi dei due autori è che la crisi economica di per sé non è necessariamente un fattore di aumento dei suicidi. Per esemplificare la loro idea prendono in considerazione due casi, la Grecia, dove si è deciso di tagliare drasticamente lo Stato Sociale, e l’Islanda, dove invece l’austerità è stata messa ai voti con due referendum e si è infine scelto di pagare i propri debiti gradualmente. Oggi la Grecia, dopo aver tagliato la sanità del 40% (35.000 tra medici e operatori sanitari licenziati) è sull’orlo del collasso: è aumentata la mortalità infantile, si sono raddoppiate le infezioni da Hiv e nel Sud del paese è tornata la malaria. In Islanda invece l’economia è in ripresa. In mezzo ai due estremi ci sono gli Stati Uniti, dove tra il 2007 e il 2010 si è comunque registrato un “eccesso” di suicidi (rispetto ai tassi fisiologici) di 4750 casi.
A riprova che è l’austerità, e non la crisi, a uccidere gli autori prendono in considerazione anche le scelte compiute dai paesi dell’ex blocco sovietico. Anche qui, mentre in Russia, Kazakhstan e negli Stati Baltici, dove è stata adottata una ‘‘shock therapy’’, si è assistito a un aumento dei tassi di suicidi, infarti e malattie legate all’abuso di alcol, in paesi come la Bielorussia, la Polonia e la Slovenia, dove è prevalso l’approccio “gradualista”, non si sono visti questi effetti.
I due studiosi hanno calcolato che un dollaro investito in programmi di salute pubblica può produrre tre dollari in crescita economica. Ecco allora tre principi che dovrebbero guidare una risposta adeguata alla crisi economica: primo, non far del danno (che vuol dire che se l’austerità “fa male” bisogna prendere provvedimenti); secondo: trattare la disoccupazione come si tratta una pandemia. La disoccupazione è causa di depressione, ansia, alcolismo e pensieri suicidi. In Svezia e Finlandia, in tempi di recessione, hanno lavorato proprio sulle politiche attive del lavoro cercando di intervenire tempestivamente appena qualcuno rimane senza lavoro. E terzo, per quanto paia controituitivo, in tempi duri è bene investire nella salute pubblica.