Daayiee Abdullah è l’imam che guida la moschea riformata di Washington. È probabilmente l’unico leader musulmano dichiaratamente gay dell’emisfero occidentale; fa parte di una rete di musulmani progressisti. L’imam Abdullah celebra anche matrimoni tra persone dello stesso sesso, mantenendo la cerimonia sempre con un basso profilo. All’ultimo matrimonio è stato chiesto agli ospiti un blackout dei social network: niente Facebook, Twitter, o Instagram. Qui non si scherza: i parenti che vivono in Medio Oriente rischiano grosso se il matrimonio andasse in rete.
Ovviamente i detrattori non mancano, ma il suo ruolo è importantissimo per chi cerca di dar voce ai musulmani progressisti, come quelli “per i Valori Progressisti”, un gruppo fondato nel 2007 a Los Angeles, che permette anche alle donne di officiare i riti, accoglie le coppie miste e promuove un ritiro annuale per i musulmani Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender).
La prima azione pubblica di Abdullah è stato celebrare il funerale di un omosessuale mediorientale, cittadino americano, morto di Aids a Washington. Nessun altro imam si era reso disponibile. Oggi Abdullah ha 59 anni, nonostante un ginocchio malandato gira in autobus per la costa orientale, tenendo lezioni nelle università (recentemente a Princeton) e accompagnando e consigliando i gay musulmani in crisi. Alla sua moschea va poca gente. Lo scorso anno ha avuto una forte crisi perché per settimane non si era presentato nessuno, poi però all’improvviso, una sera, mentre preparava il pasto dopo il digiuno del Ramadan, sono arrivate oltre trenta persone. Il problema è che chi la pensa come lui perlopiù ha lasciato la fede.
(washingtonpost.com)