il presidente della Repubblica

Tutti, dai cinquestelle alle varie correnti del Pd, dai sostenitori di Prodi a quelli di Rodotà, ai detrattori, e forse anche ai sostenitori, di Marini, tutti hanno dato per scontato che l’elezione del presidente della Repubblica non fosse già l’elezione di un guardiano della Costituzione, una figura di garanzia, anche per le minoranze, anche per l’opposizione, ma il tutore della linea politica di una maggioranza: Marini voleva dire larghe intese (ma va dato atto a Bersani che lui aveva sempre distinto “i due tavoli”); Prodi voleva dire rottura con Berlusconi, quindi elezioni, quindi Renzi; Rodotà voleva dire governo con i cinquestelle e, quindi, salvaguardia dei beni comuni, ineleggibilità di Berlusconi e quant’altro possa far felici tutte le estreme sinistre. Forse ci siamo pure distratti, forse è vero, come ora dicono un po’ tutti, che siamo già in una repubblica presidenziale, ma resta un ma: un presidente così noi l’avremmo eletto grazie a un premio di maggioranza mostruoso, conseguenza di una legge elettorale considerata da tutti, e dalle sinistre in primis, mostruosa, conseguito grazie a un vantaggio di soli 150.000 voti. Questo sì che sarebbe stato un piccolo golpe politico, capace di devastare la scena politica del paese per i prossimi vent’anni.
Val la pena di ricordare ai giovani, turchi, cristiani o neo-pagani che siano, così sicuri di essere in grado di governare il futuro, che il passato va studiato perché fa diventare più intelligenti. Vittorio Foa del clima costituente raccontava: alla mattina discutevamo, nel massimo rispetto reciproco, delle regole da scrivere nella Carta, al pomeriggio litigavamo furiosamente sugli indirizzi da dare al governo del paese.

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