Verrebbe da dire che tutto il mondo è paese. Anche nel Regno Unito si sta discutendo di come operare dei tagli a una sanità non più sostenibile e una delle opzioni è -anche lì- una riorganizzazione che vede la chiusura di alcuni ospedali minori. Ne ha parlato anche Catherine Bennett, editorialista dell’Observer, in un pezzo dal titolo emblematico: “Se davvero pensi che debbano sopravvivere tutti gli ospedali… devi vedere un dottore”.
Di fronte alla prospettiva della chiusura di alcuni piccoli ospedali di Londra e dintorni, la popolazione, incoraggiata dai politici locali, si sta ribellando appellandosi soprattutto all’emotività. Nella contea di Manchester, i manifestanti contro la chiusura del Trafford General, “luogo di nascita del sistema sanitario nazionale(!)” hanno fatto una petizione sottoscritta da oltre diecimila persone. A Highgate, nord di London, il deputato locale si è ribellato pubblicamente all’idea della chiusura dell’ospedale “dove sono nato io e anche i miei figli”. Contro la chiusura dell’ospedale di Charing Cross e di Hammersmith gli inglesi sono scesi in strada con le candele accese. Se questi piccoli ospedali chiudessero, denunciano gli abitanti, sarebbe a rischio la loro stessa vita.
In realtà, è dimostrato che una riorganizzazione del sistema sanitario che preveda una maggiore presenza di poliambulatori, con pochi (e però efficaci) centri per cure urgenti e gli ospedali destinati ai soli acuti produce tassi di mortalità più bassi e complessivamente una maggiore efficienza. Il direttore medico del Servizio sanitario nazionale, Bruce Keogh, ha recentemente sgridato i politici che per meri calcoli personali perorano queste cause dipingendo gli ospedali addirittura come “il cuore della comunità”, “la colla che tiene assieme la società”. Qualcuno infatti dovrebbe allora spiegare alla gente perché una quota significativa di medici preferisce non mandare i familiari in questi ospedali tanto amati.
(The Observer)