Un rabbino

Inevitabilmente, con quella stazza, gli occhi azzurri, lo sguardo intenso, la barba sale e pepe e la kippah, la prima impressione per un palestinese non può che essere quella: “Un altro fanatico colono ebreo!”. Così comincia un pezzo di Laurent Zecchini, giornalista di Le Monde, che rende omaggio a questo bizzarro rabbino che non è inusuale vedere mentre aiuta a ricostruire le case dei palestinesi distrutte dall’esercito, o fare da scudo umano contro i coloni che vandalizzano gli uliveti, o essere trascinato via mentre manifesta a Gerusalemme Est o in Cisgiordania.
Arik Ascherman è attivista dei Rabbini per i diritti umani, organizzazione nata durante la Prima Intifada. Per lui non c’è contraddizione tra la “tradizione ebraica” e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Così come è convinto che l’ebraismo e il sionismo non possono essere “rubare terra all’altro”.
I 120 rabbini per i diritti umani, che vedono coinvolti anche alcune migliaia di volontari, sono impegnati quotidianamente per difendere le minoranze: arabi, drusi, beduini, lavoratori stranieri, ebrei etiopi, e poi c’è la lotta per i diritti delle donne e quella contro la “barriera di sicurezza” che cannibalizza il Cisgiordania…
Arik Ascherman sognava di diventare rabbino già a sette anni. Sarebbe così semplice, spiega a Zecchini, se gli israeliani, laici e religiosi, si limitassero a mettere in pratica quel versetto in Levitico (Vecchio Testamento): “Lo straniero che risiede fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”.

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