“Tre decenni sono stati sufficienti a fare del sacchetto di plastica, meraviglia tecnologica in grado di sopportare un carico di 2000 volte il suo peso, il simbolo dell’incoerenza e dell’impronta ecologica dei nostri consumi”. Così comincia un articolo di Gilles van Kote, che su “Le Monde” racconta come, nel tentativo di fernare questo flagello che inquina paesaggi e oceani, dal primo gennaio anche Mauritania e Mali abbiano vietato i sacchetti di plastica. Già da anni nel mondo i vari paesi hanno introdotto divieti o tassazioni per disincentivarne l’uso dei sacchetti. È partita la Danimarca nel 1994 con una tassa. Nel 2002, l’ha seguita il Bangladesh che ne ha vietato l’uso, in quanto sospettati di aver causato gravi inondazioni a Dhaka. Lo stesso anno, l’Irlanda ha imposto una tassa di 15 centesimi per ogni sacchetto della spesa ottenendo un calo del 90% dei consumi.
La produzione di sacchetti di plastica ha raggiunto tra i 500 e 1000 milioni di unità nei primi anni 2000. Pare ci vogliano fino a quattro secoli prima che inizino a deteriorarsi. In alcuni paesi africani sono in corso interessanti progetti di riciclo, anche se l’impresa è improba. L’Unione europea non ha ancora adottato un provvedimento unitario. L’Italia li ha banditi, la Francia ha deciso di introdurre una tassa di sei centesimi sui sacchetti usa e getta non biodegradabili, ma a partire dal 1 ° gennaio 2014. Intanto il consumo di sacchetti è sceso da 15 miliardi di unità nel 2003 a 800 milioni nel 2010.
C’è però un effetto collaterale, mette in guardia Gilles van Kote in conclusione, la graduale scomparsa delle borse della spesa, spesso riutilizzate per smaltire la spazzatura, sta facendo aumentare le vendite di sacchi per i rifiuti… molto più pieni di plastica di quelli della spesa!