In alcune zone dell’Europa e del Medio Oriente più di un quarto dei giovani tra i 15 e i 24 anni sono senza lavoro e nei paesi più sfortunati il tasso rasenta il 50%. Complessivamente nel mondo ci sono 75 milioni di giovani disoccupati. Questo non rappresenta solo un enorme spreco, ma anche una potenziale fonte di disagio. I giapponesi hanno coniato una parola per i 700.000 giovani che si sono ritirati dalla società richiudendosi in “bozzoli domestici”: Hikikomori.
Intanto però le aziende non trovano le persone che cercano. Manpower, la più grande agenzia interinale del mondo, lamenta che più di un terzo dei datori di lavoro non riescono a riempire le posizioni vacanti. Cosa sta succedendo? McKinsey, società di consulenza, sostiene che il problema sta nel mismatch tra formazione e mondo del lavoro, che sembrano abitare universi paralleli e che quindi la soluzione sta nel farli incontrare. Il modo migliore per farlo è rinnovare l’istruzione professionale, da sempre (al di fuori del mondo tedesco) maltrattata dal sistema di istruzione.
Alcuni paesi, più lungimiranti, ci stanno provando. La Corea del Sud ha creato una rete di scuole professionali, chiamate “meister” (termine tedesco per “maestro artigiano”), per ridurre la carenza di meccanici e idraulici. Il governo copre tutte le spese, vitto e alloggio inclusi. Altrove le scuole tecniche stanno allestendo repliche esatte dei luoghi di lavoro, al fine di superare il divario tra teoria e prassi. Il Challenger Tafe Institute of Technology di Perth, Australia, ha costruito una copia perfettamente funzionante di un impianto di lavorazione del gas naturale (meno il gas). In Egitto, il gruppo Americana, una società di prodotti alimentari e ristorazione, ha un programma che permette agli studenti di trascorrere fino a metà del loro tempo lavorando (e percependo un salario) e l’altra metà al college. Sono tutti tentativi e non è detto che funzionino, però c’è qualche motivo per essere ottimisti. Intanto la tecnologia ha abbassato i costi delle scuole professionali, uno dei motivi della loro scarsa diffusione. I simulatori permettono ai giovani di fare esperienza a costi minimi. Una migliore formazione professionale non è certo il toccasana per la crisi globale del lavoro: milioni di giovani saranno comunque condannati alla disoccupazione fino a quando la domanda non riprende. Ma può almeno intaccare questo assurdo mismatch che sta provocando non solo un’esorbitante carenza di posti di lavoro, ma anche una preoccupante carenza di competenze. (Economist.com/blogs/Schumpeter)