A pagina quattordici ospitiamo uno scritto, di alcuni esponenti dell’associazione Ebrei contro l’occupazione, di critica molto aspra all’intervista, apparsa nel numero scorso, a Ephraim Kleiman sulle conseguenze economiche e sociali dell’occupazione israeliana dei Territori. Facciamo solo due o tre osservazioni; Kleiman, se lo riterrà opportuno, dirà la sua.
Riguardo al titolo: ovviamente è nostro e sarà pure infelice. Riguardo al modo di far l’intervista: è vero, noi non incalziamo mai l’intervistato; anni fa un’amica del Manifesto, riferendosi a un’intervista assai provocatoria, disse che si vedeva benissimo dalle domande che l’intervistatore era rimasto sdraiato durante tutta l’intervista. Può essere vero che ci “sdraiamo”. E può essere che questo dipenda da una certa codardia da dilettanti, dovuta alla scarsa padronanza degli argomenti. Però, come per fortuna a volte capita, un difetto può poi diventare un pregio. E pensiamo che questo modo di fare l’intervista, volto esclusivamente a far venire fuori al meglio, al “suo meglio”, il punto di vista dell’intervistato, abbia dato in questi anni buoni risultati. Si potrebbe dire: ma è proprio incalzando l’intervistato che si può raggiungere meglio quell’obiettivo. Può darsi ma può anche darsi di no.
Riguardo a una qualche “opportunità” dell’intervista teniamo a ribadire (ma questo lo diciamo in generale, per scrupolo, non per polemica con gli amici che ci scrivono, che non sembra ci rimproverino a tal proposito) di aver sempre voluto evitare qualsiasi preoccupazione “pedagogica” del tipo: “Si rischia di essere fraintesi”, “il pubblico non è preparato” o, peggio: “Si porta acqua al mulino degli altri” (vien sempre in mente la frase di Sartre, a proposito dell’eventualità di andar a raccontare agli operai gli orrori dello stalinismo: “Non portiamo disperazione a Billancourt”). Ora, i fatti sono fatti e qualsiasi autocensura, sia pur operata paternalisticamente a fin di bene, è antidemocratica perché usurpa un diritto di tutti, quello alla pubblicità, e considera l’altro un minore, bisognoso di tutela. A Billancourt bisogna andare a dire proprio tutto; sempre, comunque.
Riguardo all’intervistato, infine: nell’intervento che pubblichiamo corrono anche parole grosse, come razzismo e negazionismo, che andrebbero usate con una certa prudenza, perché sono infamanti, e dalla critica anche durissima delle argomentazioni di uno scritto si passa quindi alla condanna della persona, delle sue idee e della sua storia. Allora, però, come minimo, bisogna saperne di più. Diciamo solo questo: Ephraim Kleiman è stato uno dei primi in assoluto a pubblicare in Israele uno scritto in cui si denunciava che nel 48 c’era stata un’espulsione programmata dei civili palestinesi. Questo ben prima dei “nuovi storici” e quando in tutto il mondo si radicava l’idea, complici anche tanti ebrei di sinistra, che i palestinesi fossero venuti via quasi solamente su incitazione dei leader dei paesi arabi. Non c’è male per un sospetto negazionista.
***
Detto questo passiamo a contraddirci e a tacciare di razzismo qualcuno.
Abbiamo visto in tv una trasmissione dove Giuliano Ferrara e Carlo Panella avrebbero dovuto discutere con Khalida Messaoudi, invitata a partecipare da Algeri. Per tutta la trasmissione Khalida non è riuscita a dire le sue ragioni, la sua voce è stata sovrastata, interrotta, ma quel che è peggio è che ogni volta che pronunciava la parola democrazia, un regista, furbo o servile poco importa, sicuramente maleducato, inquadrava i visi dei due che sogghignavano con sufficienza. Il fatto è che era già capitato, quando avevano invitato dei palestinesi democratici. Anche quella volta il Panella non faceva che sorridere e scuotere la testa. Lì poi capitò anche di peggio: quando uno dei palestinesi, prendendo la parola per la prima volta, citò il muro, Ferrara gliela tolse dicendo che andava fuori tema, quasi avesse davanti un ragazzino di scuola media. E anche lì il regista, con un certo sadismo, ritornò a inquadrare spesso, per tutto il resto della trasmissione, il viso un po’ impacciato del professore universitario che non potè più aprire bocca. Questi, poi, ci disse, sorridendo con una certa serena superiorità: “Non angustiatevi, ci siamo abituati”. A El Sarraj, palestinese che da psichiatra affermato a Londra se n’è tornato a vivere a Gaza per esercitare la professione fra i giovani palestinesi traumatizzati e fra quelli affascinati dal richiamo islamista, e che lì è stato anche incarcerato dalla polizia palestinese per la libertà, che praticava, di dire quel che pensava, Carlo Panella si rivolse dicendo: “Io la stimo, El Sarraj, ma io lo so bene, lei qui non è libero di parlare…”. (E’ impressionante, fra l’altro, come fra certa gente sia invalsa l’abitudine a dispensare in pubblico attestati di stima. Pontificano e dispensano pontificano e dispensano. Ma chi sono?).
A Khalida, durante la trasmissione, è stato rimproverato anche l’appoggio al colpo di stato “democratico”, quello che scongiurò la probabile vittoria elettorale del Fis che al primo punto del programma aveva l’introduzione della sharia e che non aveva fatto mistero che quelle, in caso di vittoria, sarebbero state le ultime elezioni libere. Ora se può esistere il “golpe democratico” è questione seria, da discutere pacatamente. Ma che si porti quest’argomento per mettere in dubbio la fede democratica di quegli algerini che andarono in piazza a chiedere di fermare con la forza la presa del potere degli islamisti prossimi di Al Qaeda è vergognoso. Molti di quei democratici pagarono in seguito con la vita quella scelta. Khalida fu condannata a morte dai fondamentalisti e ha vissuto anni e anni cambiando quotidianamente parrucca e casa in cui dormire. Ora Khalida ha scelto l’“entrismo” nel governo per vedere di raggiungere i suoi obiettivi, primo fra tutti la riforma del codice della famiglia. Può essere una scelta discutibile e discutiamone pure con lei, ma sempre, prego, senza il cappello in testa e togliendo i piedi dal tavolino.
Ma poi, chi sta parlando con chi? Che “giornalisti” simili, che alzano le spalle se si dice “Abu Ghraib”, che non hanno speso una parola sulla coventrizzazione di Falluja, che sono entusiasti di chi usa bombe di una tonnellata per colpire un terrorista in un condominio (Ferrara, loro sì che “fanno sul serio”, vero?), che sono venuti in tv a dirci che Saddam aveva tutte le armi più schifose e che poi si son guardati bene dal fare ammenda, che costoro vogliano sminuire comunque l’impegno democratico di persone come Khalida, a costo di utilizzare argomenti, come quello del “colpo di stato”, che a rigor di logica dovrebbero far propri (poveretti i due, non sono stati informati di quanto gli americani siano interessati all’esperienza algerina…) è sintomatico, denota una volontà di disprezzo comunque, al di là di ogni argomento razionale. E questo è razzismo.
Questo è il problema infatti. Si sente venire avanti, è palpabile, un nuovo tipo di razzismo, una specie di insofferenza verso chiunque non sia “occidentale”: la democrazia è un patrimonio etnico, così come il benessere e la ricchezza; le loro religioni sono incompatibili con la democrazia, non c’è niente da fare, “sono diversi”; le presunte colpe coloniali dell’Occidente sono una balla colossale di cui finalmente liberarsi. Dicono che le bombe servono a portare la democrazia, ma è sempre più vero il contrario: le bombe servono a farli stare al loro posto, che è lontano dal nostro e deve restare lontano dal nostro. (Arato, in questo numero ci spiega benissimo la causa della catastrofe americana in Irak: in realtà si voleva un regime amico e questo fa a pugni con “il rischio” democratico). Per tutto questo, poi, ed è la cosa più ignobile, questa gente usa la memoria della shoà, dirottandone la colpa su chi non l’ha fatta.
Ai redattori della trasmissione diciamo: non chiamateci più per avere recapiti e numeri di telefono di “democratici palestinesi o algerini”. Invitate piuttosto esperti nostrani, che nel giro di Ferrara e Panella non mancano. Per parlare di democrazia a Gaza può andar benissimo uno come Fini, nuovo massimo alfiere della lotta all’antisemitismo e appassionato da sempre di cose israelo-palestinesi, o per discutere sulla compatibilità fra Islam e libertà della donna quel Borghezio di cui i vostri due sembrano la versione da salotto televisivo o politico. Ghignate con loro e lasciate stare quegli altri che non sono all’altezza.
Khalida, ciao. A volte ci si vergogna del proprio paese. Invidiamo per questo gli algerini, a cui, invece, malgrado tutti i problemi, sappiamo che non capita.
Riguardo al titolo: ovviamente è nostro e sarà pure infelice. Riguardo al modo di far l’intervista: è vero, noi non incalziamo mai l’intervistato; anni fa un’amica del Manifesto, riferendosi a un’intervista assai provocatoria, disse che si vedeva benissimo dalle domande che l’intervistatore era rimasto sdraiato durante tutta l’intervista. Può essere vero che ci “sdraiamo”. E può essere che questo dipenda da una certa codardia da dilettanti, dovuta alla scarsa padronanza degli argomenti. Però, come per fortuna a volte capita, un difetto può poi diventare un pregio. E pensiamo che questo modo di fare l’intervista, volto esclusivamente a far venire fuori al meglio, al “suo meglio”, il punto di vista dell’intervistato, abbia dato in questi anni buoni risultati. Si potrebbe dire: ma è proprio incalzando l’intervistato che si può raggiungere meglio quell’obiettivo. Può darsi ma può anche darsi di no.
Riguardo a una qualche “opportunità” dell’intervista teniamo a ribadire (ma questo lo diciamo in generale, per scrupolo, non per polemica con gli amici che ci scrivono, che non sembra ci rimproverino a tal proposito) di aver sempre voluto evitare qualsiasi preoccupazione “pedagogica” del tipo: “Si rischia di essere fraintesi”, “il pubblico non è preparato” o, peggio: “Si porta acqua al mulino degli altri” (vien sempre in mente la frase di Sartre, a proposito dell’eventualità di andar a raccontare agli operai gli orrori dello stalinismo: “Non portiamo disperazione a Billancourt”). Ora, i fatti sono fatti e qualsiasi autocensura, sia pur operata paternalisticamente a fin di bene, è antidemocratica perché usurpa un diritto di tutti, quello alla pubblicità, e considera l’altro un minore, bisognoso di tutela. A Billancourt bisogna andare a dire proprio tutto; sempre, comunque.
Riguardo all’intervistato, infine: nell’intervento che pubblichiamo corrono anche parole grosse, come razzismo e negazionismo, che andrebbero usate con una certa prudenza, perché sono infamanti, e dalla critica anche durissima delle argomentazioni di uno scritto si passa quindi alla condanna della persona, delle sue idee e della sua storia. Allora, però, come minimo, bisogna saperne di più. Diciamo solo questo: Ephraim Kleiman è stato uno dei primi in assoluto a pubblicare in Israele uno scritto in cui si denunciava che nel 48 c’era stata un’espulsione programmata dei civili palestinesi. Questo ben prima dei “nuovi storici” e quando in tutto il mondo si radicava l’idea, complici anche tanti ebrei di sinistra, che i palestinesi fossero venuti via quasi solamente su incitazione dei leader dei paesi arabi. Non c’è male per un sospetto negazionista.
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Detto questo passiamo a contraddirci e a tacciare di razzismo qualcuno.
Abbiamo visto in tv una trasmissione dove Giuliano Ferrara e Carlo Panella avrebbero dovuto discutere con Khalida Messaoudi, invitata a partecipare da Algeri. Per tutta la trasmissione Khalida non è riuscita a dire le sue ragioni, la sua voce è stata sovrastata, interrotta, ma quel che è peggio è che ogni volta che pronunciava la parola democrazia, un regista, furbo o servile poco importa, sicuramente maleducato, inquadrava i visi dei due che sogghignavano con sufficienza. Il fatto è che era già capitato, quando avevano invitato dei palestinesi democratici. Anche quella volta il Panella non faceva che sorridere e scuotere la testa. Lì poi capitò anche di peggio: quando uno dei palestinesi, prendendo la parola per la prima volta, citò il muro, Ferrara gliela tolse dicendo che andava fuori tema, quasi avesse davanti un ragazzino di scuola media. E anche lì il regista, con un certo sadismo, ritornò a inquadrare spesso, per tutto il resto della trasmissione, il viso un po’ impacciato del professore universitario che non potè più aprire bocca. Questi, poi, ci disse, sorridendo con una certa serena superiorità: “Non angustiatevi, ci siamo abituati”. A El Sarraj, palestinese che da psichiatra affermato a Londra se n’è tornato a vivere a Gaza per esercitare la professione fra i giovani palestinesi traumatizzati e fra quelli affascinati dal richiamo islamista, e che lì è stato anche incarcerato dalla polizia palestinese per la libertà, che praticava, di dire quel che pensava, Carlo Panella si rivolse dicendo: “Io la stimo, El Sarraj, ma io lo so bene, lei qui non è libero di parlare…”. (E’ impressionante, fra l’altro, come fra certa gente sia invalsa l’abitudine a dispensare in pubblico attestati di stima. Pontificano e dispensano pontificano e dispensano. Ma chi sono?).
A Khalida, durante la trasmissione, è stato rimproverato anche l’appoggio al colpo di stato “democratico”, quello che scongiurò la probabile vittoria elettorale del Fis che al primo punto del programma aveva l’introduzione della sharia e che non aveva fatto mistero che quelle, in caso di vittoria, sarebbero state le ultime elezioni libere. Ora se può esistere il “golpe democratico” è questione seria, da discutere pacatamente. Ma che si porti quest’argomento per mettere in dubbio la fede democratica di quegli algerini che andarono in piazza a chiedere di fermare con la forza la presa del potere degli islamisti prossimi di Al Qaeda è vergognoso. Molti di quei democratici pagarono in seguito con la vita quella scelta. Khalida fu condannata a morte dai fondamentalisti e ha vissuto anni e anni cambiando quotidianamente parrucca e casa in cui dormire. Ora Khalida ha scelto l’“entrismo” nel governo per vedere di raggiungere i suoi obiettivi, primo fra tutti la riforma del codice della famiglia. Può essere una scelta discutibile e discutiamone pure con lei, ma sempre, prego, senza il cappello in testa e togliendo i piedi dal tavolino.
Ma poi, chi sta parlando con chi? Che “giornalisti” simili, che alzano le spalle se si dice “Abu Ghraib”, che non hanno speso una parola sulla coventrizzazione di Falluja, che sono entusiasti di chi usa bombe di una tonnellata per colpire un terrorista in un condominio (Ferrara, loro sì che “fanno sul serio”, vero?), che sono venuti in tv a dirci che Saddam aveva tutte le armi più schifose e che poi si son guardati bene dal fare ammenda, che costoro vogliano sminuire comunque l’impegno democratico di persone come Khalida, a costo di utilizzare argomenti, come quello del “colpo di stato”, che a rigor di logica dovrebbero far propri (poveretti i due, non sono stati informati di quanto gli americani siano interessati all’esperienza algerina…) è sintomatico, denota una volontà di disprezzo comunque, al di là di ogni argomento razionale. E questo è razzismo.
Questo è il problema infatti. Si sente venire avanti, è palpabile, un nuovo tipo di razzismo, una specie di insofferenza verso chiunque non sia “occidentale”: la democrazia è un patrimonio etnico, così come il benessere e la ricchezza; le loro religioni sono incompatibili con la democrazia, non c’è niente da fare, “sono diversi”; le presunte colpe coloniali dell’Occidente sono una balla colossale di cui finalmente liberarsi. Dicono che le bombe servono a portare la democrazia, ma è sempre più vero il contrario: le bombe servono a farli stare al loro posto, che è lontano dal nostro e deve restare lontano dal nostro. (Arato, in questo numero ci spiega benissimo la causa della catastrofe americana in Irak: in realtà si voleva un regime amico e questo fa a pugni con “il rischio” democratico). Per tutto questo, poi, ed è la cosa più ignobile, questa gente usa la memoria della shoà, dirottandone la colpa su chi non l’ha fatta.
Ai redattori della trasmissione diciamo: non chiamateci più per avere recapiti e numeri di telefono di “democratici palestinesi o algerini”. Invitate piuttosto esperti nostrani, che nel giro di Ferrara e Panella non mancano. Per parlare di democrazia a Gaza può andar benissimo uno come Fini, nuovo massimo alfiere della lotta all’antisemitismo e appassionato da sempre di cose israelo-palestinesi, o per discutere sulla compatibilità fra Islam e libertà della donna quel Borghezio di cui i vostri due sembrano la versione da salotto televisivo o politico. Ghignate con loro e lasciate stare quegli altri che non sono all’altezza.
Khalida, ciao. A volte ci si vergogna del proprio paese. Invidiamo per questo gli algerini, a cui, invece, malgrado tutti i problemi, sappiamo che non capita.