Lettera pubblicata nel n. 218 di Una città*.
Cari amici,
vorrei parlarvi di un disagio. Quello di chi, pur vivendo in una città, in un Paese, continua a sentirsi tagliato fuori, escluso, ospite indesiderato. Eppure quasi sempre insiste, perseverando in un desiderio di accettazione e riconoscimento che prima o poi potrebbe sortire l’effetto desiderato, quello della cittadinanza, dell’essere incluso e considerato finalmente parte integrante. È certamente il caso dei marocchini torinesi, così come di tanti stranieri che vivono ormai da decenni in Italia.
Amo Torino, forse perché l’abbandonai tanti anni fa per vivere nel sogno di Venezia, ritornandoci poi pieno di desiderio e voglia di recuperare il tempo trascorso lontano. Il capoluogo piemontese ormai non raggiunge i novecentomila abitanti e di questi almeno il 15% sono stranieri, ovvero nati non in Italia, o nati a Torino da genitori stranieri.
Torino è dunque accogliente? Diventata turistica, è promossa al visitatore senza menzionare minimamente la varietà culturale che la caratterizza: abitata dalle culture di tutta Italia e di tutto il mondo, esse vi si esprimono abbastanza liberamente, segnando il territorio, in maniera estremamente vistosa almeno in certi quartieri, come Porta Palazzo. Qui in particolare si può vivere l’esperienza di un viaggio senza prendere l’aereo: basta affidarsi ai profumi di menta o di cumino e penetrare nel cuore africano, marocchino, della città. I marocchini residenti sono ben più di ventimila e quelli che qui lavorano o transitano sono tanti di più. Chi li vede come cittadini? Di quanto riconoscimento godono, al di là dell’interesse di certi settori politici o sociali? Quando Chef Rubio ha scelto di condurre qui la sua popolare trasmissione (“Unti e bisunti”), sfidando il pregiudizio nel mettere in risalto come la cucina di strada a Torino sia prima di tutto quella marocchina, è stato ripetutamente aggredito nei forum online perché non aveva scelto piatti tipici torinesi. La stessa cucina (generalmente portata a simbolo di incontro culturale) è invece vittima di questa visione identitaria statica e anacronistica…
Di integrazione si parla anche troppo, di riconoscimento mai.
Un piccolo gruppo di torinesi, la maggior parte di nazionalità marocchina, ha dato vita negli ultimi mesi del 2014 a un’associazione che potrebbe rivelarsi innovativa, almeno nell’approccio.
(continua…)
Emanuele Maspoli
Leggi tutto qui:
http://www.unacitta.it/newsite/articolo.asp?id=1021