Secondo l’ultimo bilancio del Ministero degli interni, aggiornato al 2 settembre, ci sono 689 francesi in Siria e Iraq, di cui 275 donne e 17 minori “combattenti”; 203 sono invece i combattenti francesi rientrati dalla Siria e 195 il numero dei morti. Il flusso di andata e ritorno è rallentato all’inizio di quest’anno: 18 francesi si sono uniti ai ranghi dello Stato islamico nel primo semestre 2016 (con 12 ritorni), contro i 69 del semestre precedente (con 25 ritorni).
(lemonde.fr)
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Beljihad
Non c’è solo Molenbeek, il comune nei pressi di Bruxelles dove sono cresciute tre delle menti degli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi: secondo il Ministro degli Interni del Belgio, Jan Jambon, oltre metà dei 464 belgi che hanno combattuto in Siria o vi si trovano ora provengono dal nord del paese, in particolare da Antwerp, città del nord dove sarebbero 100 gli aderenti a Daesh. In tutto il paese, poi, sono 93 le città che ospitano almeno un foreign fighter: questo fa del Belgio il paese europeo con più residenti che hanno combattuto, o intendono farlo, per organizzazioni terroristiche internazionali.
L’Isis e il 68
Farhad Khosrokhavar, franco-iraniano che da anni studia i percorsi che portano i giovani verso la scelta del fanatismo e della violenza, in a un’intervista apparsa su telerama.fr, fa un accostamento interessante tra Isis e il 68. Leggi tutto “L’Isis e il 68”
Business IS Business
Daesh sta facendo la corte a tutti gli armaioli più importanti del Medio Oriente. Ha soprattutto bisogno di munizioni: secondo le stime degli “addetti ai lavori”, combattenti e mercanti d’armi, nella campagna di Deir Ezzor (nella Siria orientale), tra dicembre ’14 e marzo di quest’anno IS ha speso un milione di dollari al mese solo in pallottole. Leggi tutto “Business IS Business”
I sacrifici per Kobane
Riconquistata dai curdi con l’aiuto dei bombardamenti americani lo scorso gennaio, a Kobane la vita sta lentamente ripartendo. Qualcuno è tornato: è il caso di Mohammad, che per qualche tempo aveva trovato rifugio in Turchia. Leggi tutto “I sacrifici per Kobane”
Cos’è e come sta andando #OpIsis
E così Anonymous, il collettivo globale di hacker, ha intrapreso “#OpIsis”, una campagna online contro Daesh. Come sta andando? Ne ha parlato Foreign Policy. Leggi tutto “Cos’è e come sta andando #OpIsis”
L’importanza di chiamarli Daesh
Isis, Isil, Califfato, Daesh… Come è giusto chiamarli? Sulla rivista online statunitense Vox, Matthew Yglesias and Zack Beauchamp hanno provato a rispondere al dilemma del nome da dare a “quelli là”. Leggi tutto “L’importanza di chiamarli Daesh”
Daesh è razzista (coi suoi)
Secondo i servizi segreti indiani, Daesh discrimina i suoi stessi combattenti. I musulmani del Sud Est asiatico che si sono dati al Califfato, infatti, vengono alloggiati peggio, pagati peggio, attrezzati peggio, e spesso si affidano loro missioni kamikaze -ma a loro insaputa. È il risultato di un’indagine su 23 indiani unitisi al sedicente Stato Islamico, sei dei quali sono rimasti uccisi.
Non capita solo agli asiatici: anche i musulmani provenienti da paesi africani ricevono un trattamento simile. I non-arabi sono trattati come “carne da cannone”, mandati avanti, mentre gli arabi restano spesso nelle retrovie. Un razzismo istituzionalizzato anche nella pantomima di “stato” che Daesh pretende di imporre nei suoi territori: nelle forze di polizia interne sono ammessi solo tunisini, palestinesi, sauditi, iracheni e siriani.
Essere donna nell’Isis
Umm Sayyaf, catturata in Siria lo scorso maggio durante un raid americano in cui è rimasto ucciso il marito Abu, pezzo grosso del Califfato, sta contribuendo a far luce sul lato femminile di Daesh (o Isis). “Umm è un’anomalia”, dice Mia Bloom della Georgia State University, che studia il ruolo delle donne della Jihad. “Una moglie tradizionale in senso islamista, ma con un discreto potere e una grande conoscenza dell’organizzazione”. Dai suoi interrogatori emerge il destino delle donne di Daesh. Leggi tutto “Essere donna nell’Isis”