Ma cos’è questa nuvola, il famoso “cloud”, che ci permette di vedere le stesse cose sul computer e sul telefono e di immagazzinare dati, o di usare applicazioni che non sono nel nostro computer? Richard Stallman, della Free Software Foundation, già dieci anni fa metteva in guardia dall’affidare una mole di informazioni personali (foto, appunti, appuntamenti in agenda) o aziendali (budget, bilanci, piani strategici) all’onestà e affidabilità delle aziende che offrono questi servizi. Perché il cloud non è affatto un’entità indeterminata che vaga nell’etere, come il nome potrebbe far supporre: in realtà è semplicemente un server o meglio un insieme di server collocati da qualche parte e di proprietà di qualcuno che mettono a disposizione, in modo condiviso, risorse di archiviazione, database, software, ecc.
Forse la definizione meno ambigua e più veritiera l’ha data Andrea Ghirardini, dell’Osservatorio Nazionale informatica Forense, in un’intervista a “La stampa” sui ritardi del nostro paese in termini di sicurezza informatica: “Il cloud non esiste, è solo il computer di qualcun altro».