Marine Le Pen è fascista? Un tribunale francese ha sentenziato che i suoi oppositori hanno il diritto di definirla così. E Norbert Hofer, il leader del Partito della libertà austriaca? E Donald Trump?
Sheri Berman, nel suo intervento sull’ultimo numero del “Foreign Affairs”, interamente dedicato al populismo, solleva qualche dubbio. Sicuramente il contesto di crisi economica e inadeguatezza delle elites politiche, ricorda molto quello degli anni Venti e Trenta. Proprio per questo varrebbe la pena capire perché la crisi economica comune a Germania e Stati Uniti portò a esiti così diversi. Berman ricorda ad esempio come mentre la Germania si intestardiva in una politica di austerità, Roosevelt poneva le fondamenta del futuro stato sociale. Non a caso, la forza del fascismo stava anche nella promessa di uno Stato che si sarebbe occupato dei suoi cittadini, difendendoli dagli effetti del capitalismo.
Ovviamente al successo del fascismo contribuirono molti altri elementi, la frustrazione dei reduci, la connivenza delle forse conservatrici, l’appeal nazionalistico…
E oggi? Berman intanto fa notare che i populisti non parlano mai di abbattere la democrazia, bensì di migliorarla. Sono antiliberali, ma non antidemocratici. Una differenza tutt’altro che banale. E poi c’è il contesto: nonostante tutti i limiti, attraverso le istituzioni democratiche, i partiti e le organizzazioni della società civile, i cittadini possono esprimere le proprie preoccupazioni, influenzare la politica e, attraverso il welfare, trovare risposta ai loro bisogni.
Tutto bene dunque? Beh, se è vero quello che dice Theda Skocpol, e cioè che i movimenti rivoluzionari non creano le crisi, bensì le usano, allora è invece il caso di preoccuparsi. Ma delle cose giuste. Il passato ci insegna che più che dei populisti dobbiamo preoccuparci dei problemi che affliggono la nostra democrazia e che sono la crescente disuguaglianza, i bassi salari, la disgregazione delle comunità, eccetera eccetera.
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