La recente condanna di Radovan Karadzic, il leader serbo-bosniaco responsabile, tra l’altro del genocidio di 8000 musulmani avvenuto a Srebrenica nel 1995, è stata seguita, nel giro di pochi giorni, dell’assoluzione di Vojislav Seseelj, leader dei serbi ultranazionalisti e promotore della pulizia etnica, la cui milizia fu impegnata a cacciare croati e bosniacchi dalle regioni che dovevano entrare a far parte della Grande Serbia.
Tim Judah, sulla “New York Review of Books” cerca di capire come la popolazione dei Balcani sta vivendo tutto questo attraverso la produzione cinematografica locale. Tra questi, forse la sceneggiatura più intensa è quella di A “Good Wife”, diretto e interpretato da Mirjana Karanović, nota attrice serba. Nel film, Milena, la “brava moglie”, viene invitata a fare una mammografia di controllo. Nel timore dell’esito dell’esame, lei aspetta e quando si scopre che in effetti c’era un tumore, il medico le chiede: “perché hai aspettato tanto?”. La domanda è la metafora di un ritardo più drammatico. Nel frattempo infatti la donna ha scoperto un video in cui il marito e alcuni amici ammazzano dei bosniaci dopo la caduta di Srebrenica. La popolazione serba ricorda bene che nel 2005 un video in cui il gruppo militare degli Scorpioni uccideva finì nelle mani di Natasa Kandic, coraggiosa attivista serba per i diritti umani che subito lo rese pubblico.
A vent’anni dalla fine della guerra, la giustizia è ancora lontana e i segnali che arrivano sono tutt’altro che tranquillizzanti. In Serbia è in corso la riabilitazione di Milan Nedić, primo ministro del governo fantoccio durante l’occupazione nazista. In Croazia il nuovo ministro per la cultura è un aperto ammiratore del regime degli Ustascia.
(www.nybooks.com)