La busta

Quando vengono congedati, tutti gli operatori di droni militari Usa ricevono una busta sigillata. Dentro c’è scritto il numero di morti provocate dalle missioni cui hanno partecipato. Molti non hanno il coraggio di aprirla, ma Brandon Bryant, che con i droni ha condotto missioni tra 2005 e 2011, l’ha fatto: dentro c’era scritto “1.626”.

Michael Hass, invece, è tra quelli che conservano ancora la busta chiusa. “Non voglio più saperne nulla”. Brandon e Michael, assieme a due colleghi, hanno raccontato la loro storia al Guardian per stimolare governo e opinione pubblica sulla necessità di ridurre il ricorso a queste tecnologie di guerra.

Anche Michael ha prestato servizio tra 2005 e 2011, e ricorda bene il senso di onnipotenza di cui era pervaso quell’ambiente. “Vi è mai capitato di calpestare una formica senza poi preoccuparvene? È così che si viene indotti a pensare dei bersagli: come puntini neri sullo schermo”. E invece, con turni di ore a fissare lo stesso bersaglio, ci si accorge che qualcosa non va, mancano le armi di cui parla il rapporto di missione, ci si rende conto di avere a che fare con dei civili terrorizzati, o che sulla scena sono presenti dei bambini… Oppure, semplicemente, anche se la propria base è nel Nevada, e l’obiettivo a 12.000 chilometri, si crea un legame con il proprio bersaglio, e si assiste da vicino a ciò che gli capita.

 

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