In un campo profughi in Siria le guardie hanno ordinato a Nousha e alle altre volontarie del progetto Amal ou Salaam (Speranza e pace) di coprirsi i capelli, prima di entrare. Si sono rifiutate, e hanno portato l’attività altrove. “Non potevo accettare il compromesso -spiega Nousha-, perché avrebbe pregiudicato una delle cose importanti del nostro volontariato: ricordare alle bambine che nel mondo arabo le donne di ogni classe sociale ed età hanno sempre potuto seguire le mode più differenti. Quando ero piccola io, a Damasco, essere una ragazza ‘pudìca’ significava indossare le magliette a mezze maniche invece delle canottiere…”. Nousha Kabawat, leggings ghepardati e camicia di jeans, sta arrigando i suoi volontari seduta sulla scrivania. La ventiquattrenne siriana, nata in Canada, vive a Damasco da quando aveva sei anni. Trasferitasi negli Usa per l’università, un anno fa ha fondato un’associazione che raccoglie cooperanti da tutto il mondo per progetti rivolti ai bambini siriani in fuga dalla guerra. Si è finanziata online con una campagna di fundraising online, e fa pagare biglietti aerei e alloggio ai volontari stessi, che aderiscono ad Amal ou Salaam invece di andare in vacanza. Potete leggere la storia di Nousha Kabawat in un reportage da uno dei suoi laboratori coi bambini in un lungo servizio della Bbc.