Sappiamo di vivere in una realtà sempre più virtuale e da oltre un secolo si immagina un mondo futuro in cui i robot vivranno in mezzo a noi. Ecco, quel mondo è già qui ci spiega James Gleick sulla “New York Review of Books”, e la cosa più sorprendente è che facciamo pure fatica a distinguerli da noi. Prendiamo Twitter: oggi è pieno di Bot (l’abbreviazione di robot). Provate a scrivere che siete depressi. Istantaneamente riceverete un messaggio di supporto e simpatia dall’account Love Bot @HereisSomeLove.
Ma ci sono anche i Bot più intellettuali e sofisticati che, ad esempio, ogni volta che si scrive “comprised of” ti suggeriscono di usare la formula “composed of”. Ovviamente c’è chi prova fastidio a ricevere empatia da qualche riga di codice scritta in Java o Python. Ma chissà, se serve a rendere il mondo meno depresso, ben venga. L’importante, nel momento dell’incontro, è di non fallire il nostro personale test di Turing e riconoscere la natura dell’interlocutore.
Un gruppo di scienziati dell’Università dell’Indiana ha creato un progetto “Bot or Not”, per individuare gli androidi. L’obiettivo è ambizioso: “Crediamo nell’importanza che umani e robot siano in grado di riconoscersi per evitare che falsi assunti creino situazioni bizzarre, o perfino pericolose”.