Cemento a Gaza

Sono passati tre mesi dalla fine dell’ultima offensiva su Gaza, ma Sadeeqa, sessant’anni, vive ancora nel rudere bombardato che era casa sua insieme ad altre 34 persone. Il riparo di fortuna è ricoperto alla bell’e meglio con teli di plastica per cercare di arginare il freddo, mentre l’elettricità vi arriva con un cavo che si collega a un edificio vicino.

La verità è che nelle zone colpite non c’è abbastanza cemento per ricostruire le case, servono bulldozer per spianare le macerie e manca quasi del tutto l’acqua potabile. Ne ha parlato Haaretz. Secondo gli osservatori delle Ong e le autorità locali, Israele starebbe ostacolando la ricostruzione. Dice Sari Bashi di Gisha, organizzazione israeliana: “Gerusalemme sta gestendo l’ingresso in città del cemento come se si trattasse di armi nucleari. Qui arriva solo la minima parte di ciò che sarebbe necessario alla ricostruzione”.

Secondo Mufeed al-Hasayna, ministro dei lavori pubblici e delle politiche abitative del Governo di unità nazionale palestinese, per soddisfare la domanda di nuovi alloggi a Gaza, già molto alta prima che cominciasse l’operazione Margine Protettivo, servirebbero 8.000 tonnellate di cemento al giorno. Ne arriva solo un quarto. “A questo ritmo, ci vorranno trent’anni”, teme Hasayna.

Ora si spera nel buon esito dei nuovi accordi stipulati dal Ministro con Onu e Governo svedese, che prevedono il coinvolgimento di ditte locali per la rimozione e il riciclo delle macerie nel nord di Gaza. Ma l’inverno è ormai arrivato.

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