L’editoriale di apertura del n. 214, con i temi del mese. Per il sommario completo, visitate questo link.
La copertina, che ritrae alcune giovani curde peshmerga, la dedichiamo a tutti coloro che, in armi, si oppongono a chi pratica la “pulizia religiosa”, a chi vorrebbe cacciarli dalla loro terra o sterminarli o convertirli con la forza. La dedichiamo alle donne, il cui statuto di minorità è il primo e ultimo obiettivo di questi fascisti musulmani. Come ci disse André Glucksmann, più di dieci anni fa, siamo di fronte alla terza ondata totalitaria in un secolo: dopo la nera e la rossa, la verde. Ci illudevamo che dopo la sconfitta degli islamisti in Algeria il peggio fosse passato. L’onda invece è lunga e quella di piena forse deve ancora arrivare. Nessuna analisi degli errori e anche dei crimini occidentali, che va fatta perché serve e perché è giusto, cambia di un filo il compito dell’oggi: sconfiggere chi non vuole che le bambine studino, chi decapita giornalisti e prigionieri. Con tutta la forza necessaria e a ogni costo.
La domanda che è corsa in tutti questi mesi, di fronte alle proposte, combinate, di riforme costituzionali ed elettorali, è stata: tentativo di rendere più efficace la nostra democrazia o svolta autoritaria? L’abbiamo posta a due studiosi, Roberto Bin e Nadia Urbinati. Il primo, pur nella critica puntuale su tanti punti delle riforme e nello scetticismo per una mancanza di radicalità, apre una linea di credito sul cambiamento; la seconda, teme fortemente che le riforme ci facciano correre il pericolo massimo che la democrazia cova al suo interno: la dittatura della maggioranza. Continueremo a cercare risposte.
In apertura, per “cosa succede”, affrontiamo un tema di confine: la possibilità della medicina di salvare un feto alle 23 settimane, oltre cioè il limite in cui è possibile praticare l’aborto terapeutico. Un problema molto serio che si accompagna ad altri, legati alle condizioni dei pretermine e al rischio di accanimento terapeutico. Ne avevamo già parlato più di dieci anni fa, col dott. Orzalesi, ma non s’è fatto niente, sempre che si possa far qualcosa. Per il resto tutta la nostra ammirazione per neonatologi come Roberto Bottino, che aprono le terapie intensive ai genitori, che in pochi secondi devono prendere decisioni fatali e spesso si vedono coinvolti in contenziosi medico-legali, incontrando sempre più difficoltà a trovare chi li assicuri.Su Gaza David Calef, responsabile per l’Italia di JCall, oltre a farci capire cosa può provare, pensando ai tunnel, un israeliano che abita vicino al confine, mette in evidenza qual è il problema dei problemi: la mancanza di una strategia di Israele. Sembra che la scelta sia quella dello status quo: rendere difficile la vita quotidiana ai palestinesi e una guerra ogni tanto. Jeff Halper, che ci scrive da Gerusalemme, da tempo riassume il problema così: gli israeliani e tutti gli ebrei vorrebbero tutta la terra, l’ebraicità dello stato, la democrazia. Ma tutte e tre non si possono avere, una deve essere lasciata. Quale?“Poi ricordo che la gente era sempre lieta, contenta di partecipare alle manifestazioni, anche se all’origine c’erano problemi gravi: il bisogno di scuole nuove, l’ospedale, la fognatura; ogni volta in quelle occasioni rivedevamo gente fantastica: Lucio Lombardo Radice, Carlo Levi, Ernesto Treccani, assieme a gente semplicissima…”. I figli di Danilo Dolci ci raccontano del padre e sono ricordi familiari, ma intrecciati con quelli dello straordinario impegno sociale di Dolci. E allora vien da chiedersi se vedremo mai un partito della sinistra in cui chi cerca di “governare” il sociale conti quanto chi governa un comune o tutto il paese, se non di più.In “rileggere”: una “scuola libera”, in cui i maestri, ma solo quelli più appassionati e volenterosi, fatto salvo un programma di minima, avrebbero insegnato ai giovani ciò che davvero serviva loro, nella più totale autonomia, casomai cose diverse da comune a comune; una scuola all’avanguardia fondata sull’iniziativa privata, ma finanziata in primis dallo Stato che doveva in ogni caso garantire un corretto uso dei fondi rispetto ai programmi stabiliti e alla laicità degli insegnamenti; una scuola in cui i maestri sarebbero stati valutati non in ore, ma in base al numero di ragazzini strappati all’analfabetismo. Di questa “scuola libera” si dibatteva giusto cento anni fa sulle pagine de “L’Unità” pensando a come avvicinare la scuola a tutti quei bambini che seguivano le famiglie costrette a spostarsi lungo il paese per svolgere lavori stagionali. Beh, un buon esempio di free-school di cent’anni fa.Siamo stati fermi per un po’. Ce ne scusiamo. Abbiamo avuto qualche problema. Usciamo con 8 pagine in più. Solo per questa volta, per adesso. Abbiamo modificato qualcosa: il carattere e il corpo, un po’ più grande; la grafica delle sezioni; questo sommario. E purtroppo anche il prezzo dell’abbonamento.