Post-antibiotic era

Per la prima volta, l’Organizzazione mondiale della sanità ha messo in guardia dal rischio dei batteri resistenti: senza un intervento tempestivo c’è il rischio di trovarci in una spaventosa era post-antibiotici in cui anche infezioni comuni e ferite di poco conto possono portare alla morte. Ormai in tutto il mondo si registrano casi di batteri e altri patogeni non trattabili con gli antibiotici mettendo in crisi le conquiste di un secolo di medicina.

Nel suo recente “Rapporto globale”, l’Oms ha raccolto i dati delle “resistenze” in 114 paesi. Keiji Fukuda, nell’introduzione al rapporto spiega, che l’era post-antibiotici non è un’apocalisse immaginaria, ma uno scenario molto realistico, causato da decenni di prescrizioni poco responsabili e dall’uso degli antibiotici nell’allevamento degli animali.
Il pericolo, tra l’altro, riguarda sia i pesi sviluppati che quelli in via di sviluppo. Tornano così a essere potenzialmente letali, malattie che non lo erano più: la gonorrea, per esempio, è di nuovo una minaccia alla salute pubblica. Farmaci una volta usati come estremi rimedi (perché causa di infertilità, cecità, ecc.) nelle malattie sessualmente trasmissibili oggi sono i primi ad essere usati. E tuttavia, in paesi come U.K., Canada, Australia, Francia, Giappone, Norvegia, Sudafrica, Slovenia e Svezia si registrano pazienti con infezioni che non rispondono neanche a questi trattamenti.
Il fatto è che i pochi test che rivelano la presenza di batteri impiegano del tempo per dare la risposta. Tempo che non sempre è a disposizione. Così nel dubbio si abusa degli antibiotici ad ampio spettro. L’Oms ricorda però che molto può essere fatto dagli operatori e dai pazienti: a partire dall’igiene e quindi dal lavaggio accurato delle mani e degli ambienti; i pazienti, da parte loro, devono resistere alla tentazione di farsi prescrivere antibiotici se non è strettamente necessario; infine i medici di base devono saper agire responsabilmente, resistendo a richieste infondate. Non c’è più tempo da perdere.
(scientificamerican.com)

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