L’eroismo di Marta a Krusha-e-Vogël

È il 25 marzo 1999 e Violeta, adolescente, sta scappando da Krusha-e-Vogël, villaggio del Kosovo sud-occidentale. Le forze di sicurezza serbe, intente nella pulizia etnica, stanno mettendo a fuoco il villaggio; hanno catturato gli uomini e intimato la fuga a donne e bambini. Davanti ai fuggitivi, però, c’è il fiume Drin, troppo profondo da attraversare.

Al di là del fiume c’è Marta, maestra del vicino villaggio di Zym. Ha visto del fumo in lontananza e, intuito l’accaduto, ha allertato zio e fratello e sono partiti: i tre, armati solo di trattori, li trarranno tutti in salvo.Il massacro di Krusha-e-Vogël, uno dei più atroci dell’intero conflitto (113 vittime), si è verificato tra il 25 e il 26 marzo ’99. L’indagine Onu per identificare i colpevoli è iniziata solo nel giugno 2012.

“Le donne che hanno combattuto in Kosovo nel ’99 stavano già conducendo una battaglia: quella per la parità. Oggi solo una delle due guerre è conclusa”. Lo scrive Hana Marku per Balkan Insight, rievocando la vicenda di Marta Prekapalaj, tra le pochissime donne il cui eroismo è entrato nella storiografia ufficiale del conflitto. Marta ha depositato la propria testimonianza ai microfoni del Balkan Investigative Reporting Network. Diventata insegnante nel 1990, a 23 anni, nella natia Zym, avrebbe poi contribuito a fondare Motrat Qiriazi, un’associazione per l’emancipazione femminile aperta a tutte le etnie.

Secondo Marta, oggi la parità di genere resta lontana: “C’è ancora tanto da fare. Ma dovrebbe essere lo Stato a tutelare la nostra emancipazione”. In Kosovo le donne sono meno istruite, percepiscono stipendi inferiori e sono spesso soggette a violenze. Sì, la coalizione internazionale guidata da Usa e Ue ha imposto le quote rosa, e il Presidente -come molti leader politici- è una donna, ma a dominare la scena sono ancora gli uomini, in particolare i militari che hanno combattuto nell’Armata di liberazione. Per tante, è il tradimento di una promessa risalente ai tempi della guerra, quando, prima che intervenisse l’oblio, migliaia di eroine civili come Marta e centinaia di donne combattenti erano celebrate nelle famiglie e nei villaggi.

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