Lo scorso ottobre, la Turchia ha ritirato il veto sul velo nei luoghi pubblici. La novità fa parte di un pacchetto di misure volte a rafforzare gli standard democratici del Paese; si interviene anche sui diritti della minoranza turca.
Sebnem Arsu e Dan Bilefsky, sul New York Times, ricordano come il velo in Turchia sia da sempre una questione molto delicata e che divide il paese.
Il primo ministro Erdogan, da quando è salito al potere nel 2002 ha cercato di andare incontro a quella maggioranza musulmana, che tra l’altro è all’origine del suo successo elettorale. Nel 2011 aveva sancito che nelle università le ragazze potevano entrare col velo, ma i pubblici uffici erano rimasti esclusi. Ora la proibizione di portare il velo negli uffici dello Stato è stato riconosciuto come discriminante per le donne osservanti.
Per la prima volta, dalla nascita della Repubblica Turca, fondata da Mustafa Kemal Ataturk nel 1923 dalle rovine dell’Impero ottomano, donne col velo sono state viste negli uffici pubblici.
Il divieto resterà in vigore in ambito militare, nelle forze di polizia e nella giustizia, almeno per ora.
Molte figure laiche credono poco alla sincerità di questa mossa: altro che spinta democratica, dietro ci sarebbe più verosimilmente un interesse politico. Basterebbe ricordare i tanti giornalisti incarcerati negli ultimi tempi per sconfessare l’aspirazione democratica di Erdogan.
Ora infatti la preoccupazione è che a essere discriminate finiscano per essere (di nuovo) le donne, ma questa volta quelle che non portano il velo. Certo, è sintomatico che l’abbigliamento delle donne continui a essere tema di dibattito in Turchia. E’ di pochi giorni fa la notizia della conduttrice di una tv privata lasciata a casa perché si era mostrata con una blusa scollata.