“Alle due di notte del 15 marzo 1988, ho ricevuto una telefonata di mia madre a Winter Park, Florida, che mi diceva che mio padre, che stava morendo di un cancro alla prostata, aveva preso una pistola dal tavolino e si era sparato, preferendo morire in un colpo piuttosto che lentamente di cancro”.
Così comincia un lungo ed emozionante pezzo di Marcia Angell sulla “New York Review of Books”, sulla legge “Morire con Dignità” che oggi permette agli abitanti dell’Oregon di porre fine alla propria vita quando non la ritengono più degna di essere vissuta. La Angell ripercorre le tappe che hanno portato al referendum in Massachusetts (stato liberal, ma anche molto cattolico), dove la legge sulla morte dignitosa non è passata per pochissimo (49% contro il 51%) anche a causa di alcuni equivoci, come ad esempio l’idea che la possibilità di morire per chi lo desidera influisca sulla qualità delle cure per i terminali (peraltro già scarse), quando invece proprio l’Oregon dimostra che dopo la legge c’è stato un miglioramento e non un peggioramento della condizione dei terminali. L’Oregon, a quasi quindici anni dall’entrata in vigore della legge sull’eutanasia, insegna anche un’altra cosa: per chi sceglie la morte, più che la sofferenza fisica, pesa la perdita di autonomia e appunto di dignità.