La fine del lungo?

Che la lunghezza di un articolo non sia sinonimo di qualità si sa e tuttavia, esordisce Dean Starkman in un breve articolo sul sito della “Columbia Journalism Review” (sottotitolo: il futuro dei media è qui), è difficile affrontare temi complessi, come la crisi ad esempio, senza dilungarsi. Per non parlare di quando si devono portare le prove a sostegno di uno scoop contro qualche potente. Pensando che l’inizio del nuovo anno sia un momento propizio per i bilanci, Starkman è però costretto a riconoscere che molto è cambiato negli ultimi dieci anni rispetto alla lunghezza dei pezzi dei giornali.

“The Los Angeles Times”, per dire, lo scorso anno ha pubblicato 256 storie più lunghe di 2000 parole, contro le 1776 del 2003. “The Washington Post” ne ha pubblicate 1378 contro le 2755 del 2003. “The Wall Street Journal”, pioniere dei pezzi lunghi nel giornalismo americano, è passato da 721 a 468. Se poi si passa alle storie con più di 3000 parole la situazione è ancora più catastrofica: Il Wsj passa da 87 a 25 storie, registrando un crollo del 70%, il La Times addirittura scende del 90% (da 368 a 34).

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