Quando si arriva in Moldavia, questo piccolo paese senza sbocco sul mare tra la Romania e l’Ucraina, ci si imbatte subito in un odore di comunismo, racconta Mirel Bran, corrispondente di “Le Monde”, “una miscela di gasolio sovietico e, con una fragranza più gradevole, e di quella terra nera che fa la ricchezza del paese”.
Esteso su una superficie pari a quella del Belgio, la Moldavia è un cocktail di etnie. “Più della metà dei quattro milioni di moldavi sono rumeni, gli altri sono di origine russa e poi ci sono i gaugazi, cristiani turchi che rifiutavano l’Islam e si rifugiarono qui all’inizio del XIX secolo”, tralasciando i rom e una comunità tedesca.
A vent’anni dall’indipendenza non è ancora chiaro dove andrà questo paese, dove ancora imperversano statue di Lenin e un doloroso ricordo dei tempi di Stalin, quando la maggior parte dei moldavi furono deportati in Siberia. Per la Moldavia, oggi l’Oriente incarna il passato e l’Occidente un possibile futuro prospero.
I romanofoni sognano ovviamente una riunificazione con l’originaria madrepatria. L’ingresso della Romania nell’Unione europea nel 2007 ha reso questa prospettiva molto allettante.
Già oggi la Romania offre a tutti i moldavi in grado di comprovare la loro origine rumena, il passaporto che apre anche a loro le porte dell’Unione europea e del suo mercato. I russofoni preferiscono viaggiare in direzione opposta, verso Mosca.
“A ciascuno la sua patria”, commenta Bran. Intanto un milione di moldavi -un quarto della popolazione- è attualmente all’estero a lavorare. È solo grazie alle rimesse di chi se n’è andato che oggi questo paese, che registra un reddito medio di circa 180 euro al mese, riesce a sopravvivere.