Vincent Fischetti, microbiologo, 71 anni, è da quando ha vent’anni che è rimasto affascinato dai batteriofagi, o semplicemente fagi (virus che parassitano un determinato batterio, di cui possono provocare la distruzione per lisi). Nell’ultimo numero de “Le Scienze” Brendan Borrel gli ha fatto una lunga intervista, in cui Fischetti racconta di quando, a 12 anni, i suoi genitori gli regalarono un microscopio e di come maturò una grande passione per la microbiologia.
I batteriofagi vennero identificati un secolo fa, quando ancora gli antibiotici non esistevano, e usati per combattere le infezioni. In seguito, con la scoperta degli antibiotici, furono soppiantati. Ma non dappertutto. In Georgia, a Tbilisi, esiste ancora un programma attivo sui batteriofagi. Oggi però, davanti al problema, enorme, dei batteri resistenti agli antibiotici, si è tornati a guardare a questi virus. Non solo perché le infezioni resistenti aumentano ma anche perché le aziende farmaceutiche non sono più disposte a spendere soldi nella ricerca di antibiotici che di lì a poco non funzionano più. Ma come funzionano i fagi? Entrano in un batterio e ne prendono il controllo, dopodiché per uscirne producono un enzima (lisina) che lo buca facendolo esplodere. Finora si erano usati direttamente i batteriofagi, Fischetti però ha fatto un passo ulteriore e si è concentrato sulla lisina. Gli esperimenti sugli animali hanno dato buoni risultati. La lisina ha anche il vantaggio che finora non si è riscontrato alcun batterio resistente a questo enzima. A dodici anni dal primo esperimento sul topo, quest’anno parte la prima sperimentazione umana.