Un libro su Alex Langer

In un libro su Alex Langer, Fare ancora (Edizioni alphabeta 2011), fra le tante testimonianze, anche molto belle, ne appare una dello scrittore Erri De Luca, che senza professarsi pacifista, dice che per la Bosnia si era trovato sulle stesse posizioni “non interventiste” di Alex. Scrive: “In Bosnia condividevo la posizione di Alex Langer” perché “lì un intervento militare esterno avrebbe dovuto scegliersi un nemico da un lato e un alleato dall’altro, tra le varie situazioni di conflitto in corso”. E continua: “Poi ho saputo che si era convinto del contrario, della necessità di un intervento della Nato. Non ho fatto in tempo a litigare con lui su questo, a rompere un’amicizia. Perché sulle guerre è giusto rompere le amicizie”.
Non capiremo mai come si possa continuare a sostenere che non sia stato giusto l’intervento Nato in Bosnia (perché “avrebbe aggiunto guerra alla guerra”) dopo che pochi giorni di bombardamenti, quasi senza provocare vittime, hanno fatto finire un assedio di tre anni e mezzo, durante i quali i bombardamenti e il cecchinaggio quotidiano hanno causato, fra la popolazione civile, circa dodicimila vittime e cinquantamila feriti; dopo che i serbi, violando l’accordo che aveva reso Srebrenica “zona protetta”, erano entrati in città e avevano sterminato tutti i maschi dai quattordici ai sessantacinque anni; dopo che nei racconti dei sopravvissuti sono emersi i dettagli della ferocia della pulizia etnica. La cosa diventa addirittura grottesca nel caso di chi, come Erri de Luca, è tutt’altro che un non-violento integralista; nello stesso scritto, infatti, non rinnega affatto il suo sostegno alle guerre rivoluzionarie comuniste di mezzo mondo, compreso, immaginiamo, quella dei Khmer rossi cambogiani; il tutto per “non dissociarsi da se stesso”, che sembra essere il suo unico problema.
Fin qui che dire? L’arroganza intellettuale, che piega i fatti alle opinioni e impedisce di tornare sui propri passi, è un problema solo di chi ne è affetto. La cosa che non si può proprio fare, però, è piegare alle proprie opinioni le motivazioni del suicidio di un uomo e della sofferenza che l’ha preceduto, con noncuranza, senza conoscerle e senza documentarsi. Scrive De Luca: “Mi resta la convinzione che si sia disperato per la decisione di rinnegare la scelta pacifica. Quello era il suo traguardo di umanità raggiunta, di antica radice di ragione presente in lui fin da ragazzo e sospesa negli anni rivoluzionari. L’aveva ritrovata, rianimata ed era arrivato a rappresentarla. Invece la tradiva, scegliendo di aderire al partito dell’intervento militare. Era la sua bandiera e l’aveva perduta. Non ha voluto spiegare cosa lo stava disintegrando dall’interno. Per quello che conosco di lui e che ricordo, credo che si sia ammazzato per un torto irreparabile commesso contro se stesso”.
Questa interpretazione del suicidio di Alex come atto di pentimento e di smarrimento per aver “tradito” il proprio pacifismo, accampata senza l’avvallo di alcun indizio, per il solo desiderio di dare autorevolezza alle proprie opinioni, contrarie, per di più, a quelle di Alex, è del tutto inaccettabile.
Purtroppo, però, lo sappiamo, corre.
Ci appelliamo quindi a Edi Rabini, il collaboratore e amico fraterno di Alex: lui che può, faccia finire questa diffamazione di Alex e di “ciò che era giusto” per lui.

Lascia un commento