Ma se uno pensa che nel paese di cui è cittadino, e casomai pure vicino a casa sua, si commettano quotidianamente, per legge, degli omicidi di innocenti in serie, come fa a vivere? Se per noi è un pensiero molesto sapere che un giornale finanziato dallo stato grazie a un raggiro della legge, conduca, con soldi quindi anche nostri, una campagna infamante contro la libertà delle donne, possiamo ben immaginare cosa può provare chi crede di vivere accanto a una fabbrica di morte legalizzata. Ci si potrebbe aspettare, se non che organizzi un gruppo armato clandestino per cominciare a colpire gli assassini, che almeno si metta a digiunare a oltranza incatenato a qualche cancello di un edificio deputato all’orrore, o che impegni il proprio patrimonio nella lotta per strappare alla morte tutte le vite che può; comunque ci aspetteremmo di vedere visi cupi, ossessionati, segnati dall’insonnia. Macché. Il tipo se ne vuole andare in parlamento. E abbiamo letto un suo articolo in cui raccontava, con la finezza che gli è propria e con dovizia di particolari, della sua barca, delle sue case, dei suoi cani, del suo tempo libero, concludendo che pur dovendo, per la campagna elettorale, distogliere del tempo a tutte queste cose amate, era molto contento di averne guadagnata un’altra: il buon umore.