Da rileggere. “Le leggi lunghe cinque pagine…” Sempre a proposito di “Berlusconi e noi”.
“Il problema principale della politica italiana sono le tantissime leggi composte di tanti e lunghissimi articoli. Tornando in Parlamento, a distanza di tanti anni, non l’ho riconosciuto. Ero andato via che si approvavano articoli di legge di dieci righe e sono tornato che si scrivevano articoli lunghi due pagine, con venti incomprensibili richiami a leggi e decreti precedenti.
Cos’era successo? Che all’opposizione di sinistra, in Parlamento più attiva, più presente e più documentata, in un clima di corresponsabilizzazione consociativa, si lasciava la facoltà di scrivere le leggi. In pratica, chi governava, ed erano sempre gli stessi, governava in virtù di un tacito placet di chi stava all’opposizione e in contropartita riceveva un potere di veto sul piano legislativo.
Purtroppo chi sta all’opposizione, e a causa del “fattore k” pensa di starci a vita, non ha molta propensione a garantire spazi di decisionalità, di autonomia e di discrezione a chi ha il potere esecutivo e ai suoi funzionari periferici. Da ciò nasce il nostro sistema legislativo di 200 mila leggi, e questo è l’effetto del consociativismo. Consociativismo che non è stato in Italia il governare assieme; questo non è mai avvenuto. Ma come si fa, mi chiedo io, a parlare di spartizioni? La sinistra non ha mai avuto nulla per decenni, nelle banche come nelle partecipazioni statali.
Molti danno la colpa alla sinistra dell’attuale situazione del Paese; eppure la sinistra al governo c’è stata un solo giorno: dal giuramento di Ciampi all’improvvida uscita dalla maggioranza, avvenuta la sera stessa dopo il voto della Camera su Craxi. No! La sinistra non ha spartito il potere, ha governato attraverso le leggi e soprattutto attraverso la meticolosità delle leggi. Non ha gestito potere (salvo che nelle regioni rosse), ma ha impedito anche agli altri di gestirlo. In Italia, il potere esecutivo ha margini di autonomia e di decisione bassissimi; non si tratta di rafforzare Palazzo Chigi magari attraverso il presidenzialismo; si tratta di lasciare alla discrezionalità dell’esecutivo le competenze che di solito sono lasciate a chi governa in tutti i Paesi democratici, anche a democrazia parlamentare. Come si fa a chiedere ai funzionari periferici della pubblica amministrazione di operare in modo oculato, con efficacia ed efficienza, se la loro possibilità di iniziativa è praticamente annullata dalle leggi?
Ditemi, per esempio, quale sindaco, dall’alto del suo consenso popolare, può assumersi la responsabilità di consentire a un cittadino di costruire dieci centimetri più del consentito o di imporre a un altro di costruire dieci centimetri di meno del previsto. E allora che senso ha poi criticarlo per ciò che fa o non fa? Possibile, mi chiedo io, che una persona democraticamente eletta, o investita, come funzionario pubblico, di elevate funzioni, non abbia mai la possibilità di rispondere sulla sostanza delle proprie decisioni, senza doversi sempre attenere a ciò che già la legge formalmente e minutamente prevede?
Possibile che per evitare gli abusi e le illegalità, che avvengono ugualmente (e d’altra parte pochi conoscono bene le leggi come i malfattori!), si debba impedire in ogni modo di adeguare la lettera allo spirito della legge e ai bisogni reali dei cittadini?
Quando l’opinione pubblica si indigna alla notizia curiosa che il fisco ha chiesto il rimborso di dieci lire a un cittadino attraverso una procedura lunga e costosa, c’è qualcuno che si chiede se quel funzionario aveva il potere di fermare una procedura tanto insulsa? Quando si vedono certe stupidaggini nella scuola, nella sanità, nell’edilizia pubblica o in quella privata, ci si è mai domandato se coloro che hanno prodotto o consentito la stupidaggine avevano la facoltà, a norma di legge, di evitarla? Tutti abbiamo visto alloggi popolari, assegni di studio, posti di lavoro pubblici, concessi a persone che ne avevano solo i titoli formali, non quelli sostanziali, ma concretamente c’era qualcuno che aveva il potere di impedire queste assegnazioni?
Si continua a pensare che possa essere la sola legge a moralizzare la vita pubblica. E invece abbiamo bisogno di una sana democrazia, dove chi ha ricevuto i voti governa con vera responsabilità, chi sta all’opposizione lo controlla, e dopo quattro o cinque anni si ritorna ad affidare il potere all’elettorato” (da Una Città, n. 51, giugno/luglio 1996, intervista a Francesco Giuliari).
“Il problema principale della politica italiana sono le tantissime leggi composte di tanti e lunghissimi articoli. Tornando in Parlamento, a distanza di tanti anni, non l’ho riconosciuto. Ero andato via che si approvavano articoli di legge di dieci righe e sono tornato che si scrivevano articoli lunghi due pagine, con venti incomprensibili richiami a leggi e decreti precedenti.
Cos’era successo? Che all’opposizione di sinistra, in Parlamento più attiva, più presente e più documentata, in un clima di corresponsabilizzazione consociativa, si lasciava la facoltà di scrivere le leggi. In pratica, chi governava, ed erano sempre gli stessi, governava in virtù di un tacito placet di chi stava all’opposizione e in contropartita riceveva un potere di veto sul piano legislativo.
Purtroppo chi sta all’opposizione, e a causa del “fattore k” pensa di starci a vita, non ha molta propensione a garantire spazi di decisionalità, di autonomia e di discrezione a chi ha il potere esecutivo e ai suoi funzionari periferici. Da ciò nasce il nostro sistema legislativo di 200 mila leggi, e questo è l’effetto del consociativismo. Consociativismo che non è stato in Italia il governare assieme; questo non è mai avvenuto. Ma come si fa, mi chiedo io, a parlare di spartizioni? La sinistra non ha mai avuto nulla per decenni, nelle banche come nelle partecipazioni statali.
Molti danno la colpa alla sinistra dell’attuale situazione del Paese; eppure la sinistra al governo c’è stata un solo giorno: dal giuramento di Ciampi all’improvvida uscita dalla maggioranza, avvenuta la sera stessa dopo il voto della Camera su Craxi. No! La sinistra non ha spartito il potere, ha governato attraverso le leggi e soprattutto attraverso la meticolosità delle leggi. Non ha gestito potere (salvo che nelle regioni rosse), ma ha impedito anche agli altri di gestirlo. In Italia, il potere esecutivo ha margini di autonomia e di decisione bassissimi; non si tratta di rafforzare Palazzo Chigi magari attraverso il presidenzialismo; si tratta di lasciare alla discrezionalità dell’esecutivo le competenze che di solito sono lasciate a chi governa in tutti i Paesi democratici, anche a democrazia parlamentare. Come si fa a chiedere ai funzionari periferici della pubblica amministrazione di operare in modo oculato, con efficacia ed efficienza, se la loro possibilità di iniziativa è praticamente annullata dalle leggi?
Ditemi, per esempio, quale sindaco, dall’alto del suo consenso popolare, può assumersi la responsabilità di consentire a un cittadino di costruire dieci centimetri più del consentito o di imporre a un altro di costruire dieci centimetri di meno del previsto. E allora che senso ha poi criticarlo per ciò che fa o non fa? Possibile, mi chiedo io, che una persona democraticamente eletta, o investita, come funzionario pubblico, di elevate funzioni, non abbia mai la possibilità di rispondere sulla sostanza delle proprie decisioni, senza doversi sempre attenere a ciò che già la legge formalmente e minutamente prevede?
Possibile che per evitare gli abusi e le illegalità, che avvengono ugualmente (e d’altra parte pochi conoscono bene le leggi come i malfattori!), si debba impedire in ogni modo di adeguare la lettera allo spirito della legge e ai bisogni reali dei cittadini?
Quando l’opinione pubblica si indigna alla notizia curiosa che il fisco ha chiesto il rimborso di dieci lire a un cittadino attraverso una procedura lunga e costosa, c’è qualcuno che si chiede se quel funzionario aveva il potere di fermare una procedura tanto insulsa? Quando si vedono certe stupidaggini nella scuola, nella sanità, nell’edilizia pubblica o in quella privata, ci si è mai domandato se coloro che hanno prodotto o consentito la stupidaggine avevano la facoltà, a norma di legge, di evitarla? Tutti abbiamo visto alloggi popolari, assegni di studio, posti di lavoro pubblici, concessi a persone che ne avevano solo i titoli formali, non quelli sostanziali, ma concretamente c’era qualcuno che aveva il potere di impedire queste assegnazioni?
Si continua a pensare che possa essere la sola legge a moralizzare la vita pubblica. E invece abbiamo bisogno di una sana democrazia, dove chi ha ricevuto i voti governa con vera responsabilità, chi sta all’opposizione lo controlla, e dopo quattro o cinque anni si ritorna ad affidare il potere all’elettorato” (da Una Città, n. 51, giugno/luglio 1996, intervista a Francesco Giuliari).